Il bullismo cinese contro l'Ue, che cerca un modo per uscirne

Giulia Pompili

Pechino si mostra dialogante, ma usa semiconduttori e terre rare come arma e l’economia come leva politica contro Bruxelles. La Germania per la prima volta menziona il possibile uso dello Strumento anti coercizione, ma la maggior parte dei leader teme la ritorsione più della dipendenza

Martedì scorso, al ricevimento organizzato dall’ambasciata della Repubblica popolare cinese a Bruxelles in occasione della festa nazionale, c’erano diversi funzionari delle istituzioni dell’Unione europea, membri del Parlamento europeo, giornalisti e analisti della bolla brussellese, ripresi e rilanciati sui media ufficiali. Ma il tentativo di normalizzare le relazioni fra Ue e Cina da parte cinese è un trucco, perché al di là di interessi strategici nazionali (o personali) ben poco resta della diplomazia business as usual con Pechino. Sempre martedì Maros Sefcovic, commissario europeo per il Commercio e la sicurezza economica, ha avuto una complicata telefonata con il ministro cinese del Commercio Wang Wentao, per chiedergli un incontro di persona su un tema delicato: le misure sempre più restrittive della Cina nell’export in Europa di materiali critici, fondamentali non solo per l’industria della Difesa ma anche per quella dell’auto.

 


Sefcovic ha annunciato che Wang dovrebbe arrivare nei prossimi giorni a Bruxelles per parlare del ricatto economico a cui la Cina sta sottoponendo l’Europa, ma le voci circolate nei giorni scorsi sui colloqui fra i leader dei paesi membri rilevano un certo scetticismo sul fatto che Pechino deciderà di sollevare le restrizioni. Pechino accusa l’Ue di aver avviato ingiustamente indagini antisussidi su alcuni settori cruciali dell’export cinese, primo fra tutti quello automobilistico – alla fine del 2024, dopo aver accertato pratiche di concorrenza sleale da parte della Cina, la Commissione aveva introdotto dazi aggiuntivi sulle importazioni di auto elettriche cinesi. E soprattutto la leadership cinese non ha apprezzato la mossa del governo olandese, che a fine settembre ha utilizzato la cosiddetta Goods  Availability  Act per intervenire sull’azienda produttrice di semiconduttori Nexperia, sussidiaria della cinese semistatale Wingtech  Technology, citando “gravi irregolarità gestionali” e un rischio alto per la continuità tecnologica europea. Come contromossa, Pechino ha bloccato tutte le esportazioni di semiconduttori di Nexperia prodotti dagli impianti su suolo cinese.
Ieri a Bruxelles, al Consiglio europeo, la Cina è stata tenuta fuori dall’agenda, nonostante i tentativi dei governi di Germania, Francia e Polonia che, secondo Bloomberg, avevano chiesto di sollevare la questione alla riunione dei leader dei paesi membri. Parigi e Varsavia avevano proposto di aggiungere, alle conclusioni del vertice, una riga sulle azioni economiche dannose da parte della Cina, mozione non accolta. Il governo del cancelliere tedesco Friedrich Merz è stato il primo a sollevare una questione cruciale: l’Ue ha uno strumento per impedire a Pechino il bullismo economico, ma nessuno vuole attivarlo per paura di ritorsioni. “Lo Strumento anti coercizione è stato creato esattamente per situazioni di questo tipo: è ora di toglierlo dallo scaffale e usarlo”, dice Tobias Gehrke, senior policy fellow dell’Ecfr. “Potrebbe colpire settori come i macchinari per semiconduttori, i servizi aeronautici e l’export di apparecchiature industriali avanzate, ma anche importazioni chiave dalla Cina come auto, turbine eoliche, dispositivi di telecomunicazione, apparecchi medici e beni di consumo a basso costo. L’obiettivo non è una guerra commerciale, ma un equilibrio di potere economico fondato su una sorta di ‘distruzione reciproca assicurata’. L’Europa deve costringere Pechino a un accordo geopolitico di questo tipo, per guadagnare tempo: tempo da investire nel disaccoppiare la propria industria dalle terre rare cinesi”.

 


Ma c’è di più, perché tra i funzionari dell’Ue lo scetticismo nei confronti delle relazioni con Pechino riguarda anche una questione più strategica, e cioè la vicinanza della Cina alla Russia di Putin. “Una cosa la so: la Cina aiuta la Russia e non aiuta l’Ucraina”, ha detto ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in conferenza stampa a Bruxelles. “Non vogliono che l’Ue sia forte, che ci sia unità transatlantica, e non sono interessati a una Russia debole. Ecco perché credo che la Cina assista la Russia”. Poco prima del Consiglio, ieri l’Unione europea ha approvato l’atteso 19° pacchetto di sanzioni contro Mosca. Dentro ci sono misure contro due raffinerie cinesi – la Liaoyang Petrochemical Company e la Shandong Yulong Petrochemical – e una società commerciale con sede a Hong Kong, la Chinaoil Corporation, accusate di aver contribuito indirettamente allo sforzo bellico russo in Ucraina tramite l’acquisto e la lavorazione di greggio proveniente dalla Russia. “La Cina esorta l’Ue a interrompere immediatamente l’inserimento delle società cinesi nell’elenco e ad astenersi dall’intraprendere ulteriori azioni sbagliate”, ha fatto sapere in una nota un anonimo portavoce del ministero del Commercio cinese. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.