La soluzione coreana in Ucraina non sarà così semplice

Giuliano Ferrara

Oltre il “trentottesimo parallelo” europeo ci sarà il minaccioso e massiccio patto di ferro tra Putin e Xi. Le premesse del negoziato per una tregua non danno grande affidamento sulla possibilità di contenere l’espansionismo  russo in Europa

Quando si faranno i conti, nel caso prevalga la cosiddetta soluzione alla coreana, chi ha dato ha dato e Putin si prende un quinto del paese  europeo che ha aggredito,
bisognerà esaminare le responsabilità di Trump, mediatore floscio dove non ritiene di suo interesse strategico e di business una coalizione per la pace come quella di Gaza, mediatore diffidente verso l’Europa e la Nato come è entusiasta verso Qatar Sauditi Turchi e Egiziani, mediatore indulgente con l’amico russo e il suo protettore cinese; Trump con il tiramolla sui Tomahawk spinge verso una pace che comporta sollievo, come sempre un cessate il fuoco e un accordo di tregua, e comporta avvilimento, come sempre la ratifica di un’ingiustizia e di un danno alla sicurezza e alla libertà di un’alleanza politica delle democrazie contro la prepotenza di un’autocrazia.

 

Ma la mediazione infida eppure vestita di realismo di Trump va messa a fuoco senza scordare le responsabilità politiche e militari di Biden, del suo predecessore elegante e molle Obama, e dell’Unione di Bruxelles. Per quattro anni si è fatto il minimo ma non il giusto, cioè non quello che si doveva fare, per non parlare dell’appeasement commerciale contro la speranza della stabilizzazione in tutti gli anni precedenti, a partire dalla Georgia e dalla Crimea. Le sanzioni dovevano integrare e rafforzare una disponibilità alla difesa dell’Ucraina più pronta, meno avara, meno graduale, meno propensa a calibrare tutto sul cedimento sostanziale di fronte alla minaccia dell’escalation. Dall’altra parte del trentottesimo parallelo coreano, sovrapposto alla mappa europea, non ci sono Hamas, la Fratellanza musulmana, l’Iran sciita e gli Houthi, che certo non erano poca cosa, ma il minaccioso e massiccio patto di ferro tra Putin e Xi, con il ricatto nucleare dispiegato a parole. Senza gli Stati Uniti, tutto è più difficile per l’Europa nel confronto con la Russia e con il suo fratello maggiore, questo è ovvio. Con gli Stati Uniti di Biden, e con l’Europa com’era messa, la deterrenza prima e la difesa dall’aggressione poi furono deboli. Per ragioni diverse, che ora convergono nel mito comune, a Trump e a Biden prima di lui, dell’escalation.

           

L’Europa garante militare della stabilizzazione è ancora tutta da vedere. Le premesse bilaterali (Budapest) del futuribile negoziato per una tregua non danno grande affidamento (eufemismo) sulla possibilità di contenere l’espansionismo provocatorio russo nel continente. La risposta politica europea al dilagare del trumpismo, all’America First!, non c’è stata o almeno non è stata una compiuta rivoluzione di metodo e di merito, un grido Europa First!. La meccanica della Guerra fredda dipendeva dal legame fra gli establishment eredi di Roosevelt e Churchill. Il rovesciamento dalle fondamenta di quello schema che ha trasformato il containment nel roll-back, nella capacità di liberazione dell’Europa orientale dal giogo sovietico e nella crisi dell’impero sovietico, deve ancora mostrare tutte le sue implicazioni e conseguenze. Quattro anni di guerra sono stati un peso insopportabile per l’Ucraina e per l’alleanza difensiva che l’ha sostenuta con un ritmo e una forza barcollanti. Ma la soluzione coreana cosiddetta di per sé non è garanzia che le cose cambino nei prossimi anni, visto che l’establishment democratico centrista e quello tradizionale repubblicano, per certi aspetti ancora più duro verso la Russia, sono stati svuotati e come annullati dalla colossale offensiva politica di Trump. Le ragioni per cui la tregua pluridecennale coreana aveva attecchito sono legate anch’esse a quel quadro, profondamente cambiato. Stavolta potrebbe essere molto diverso.  

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.