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L'incontro

Zelensky cerca di far capire che per fermare Putin servono i Tomahawk. Trump aspetta

Micol Flammini

La missione del presidente ucraino a Washington è stata doppiamente complicata: è andato a chiedere le armi adatte a spaventare il Cremlino dimostrando al presidente americano che servono a ottenere il cessate il fuoco. Ma il tycoon pensa già al vertice di Budapest

Fra Donald Trump, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, soltanto il primo è convinto che ci siano grandi possibilità di far finire la guerra in Ucraina. Trump continua a pensare che il capo del Cremlino sia pronto alla pace, lo pensa senza prove, senza neppure che sia il russo a farglielo credere. La missione di Zelensky a Washington è stata doppiamente complicata: è andato a chiedere le armi adatte a spaventare il Cremlino dimostrando a Trump che servono a ottenere il cessate il fuoco. Zelensky ha sottolineato che, come per ogni guerra, per farla finire serve prima un accordo per un cessate il fuoco, che Putin non vuole e va costretto a volere. Il successo del capo della Casa Bianca nel porre fine alla guerra a Gaza è  la carta che i leader di tutto il mondo cercano di usare per blandirlo, ma Zelensky ha colto il senso: c’è uno slancio, e va cavalcato. Alla base del successo  però ci sono stati due elementi: la pressione dei paesi arabi sui terroristi di Hamas e la minaccia a Hamas di essere pesantemente sradicato.

 

Quello che per Zelensky è stato complicato far capire a Trump è che per mettere fine alla guerra in Ucraina mancano entrambi gli elementi. Il primo non è facilmente applicabile con la Russia, ma il secondo è percorribile, fatte le dovute distinzioni. Tra lusinga e necessità Zelensky aveva bisogno di convincere Trump di un fatto: se vogliamo la pace ci servono i missili a lungo raggio Tomahawk, serve la minaccia. Il presidente americano però ormai pensa al vertice di Budapest e di inviare i missili a lungo raggio non ha fretta. Ha detto di aver accettato di organizzare l’incontro con Putin in Ungheria perché entrambi stimano il premier Viktor Orbán e ritengono l’Ungheria un paese forte e sicuro. Una giornalista ha fatto notare al capo della Casa Bianca di aver sanzionato l’India per l’acquisto di petrolio russo, mentre l’Ungheria non ha mai smesso di comprare dalla Russia risorse di ogni genere.

 

L’osservazione non ha avuto effetto sul presidente americano. Trump sa che non metterà Zelensky e Putin nella stanza stanza  a causa del “cattivo sangue” che scorre fra i due, ma sembra credere che il vertice di Budapest sarà risolutivo e per la pace è “tutto pronto”. Putin ha guadagnato tempo, almeno fino all’incontro. L’umore russo si è capito da un post della propaganda su X, che ha pubblicato la foto del menu del ricevimento alla Casa Bianca con su scritto: “I missili Tomahawk? Non sono sul menu”.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)