
La Lila Mumbai al largo di Ceuta con ben visibili sulla destra le due TBZ dirette a Bengasi (foto: Ships at the Strait of Gibraltar)
Il caso Lila Mumbai
Così gli Emirati danno agli Haftar le motovedette usate per respingere i migranti. Inchiesta
Il sequestro in Spagna di dieci imbarcazioni dirette a Bengasi svela una rete dei traffici fra Libia, Giordania, Emirati e Hong Kong. Il ruolo di Irini, i silenzi di Madrid e il doppio favore di Dubai: uno all'alleato libico, l'altro all'Europa, preoccupata a limitare le partenze
"Ho una posizione per voi”. La voce registrata il 2 agosto del 2023 da un aereo dell’ong Sea Watch è quella di un pilota delle Forze armate maltesi impegnato in un’operazione di Frontex, l’Agenzia europea per la sicurezza dei confini esterni. Il velivolo sorvola un peschereccio che trasporta 250 migranti nel Mediterraneo centrale. Il messaggio radio è rivolto a una motovedetta in dotazione alla Guardia costiera della Libia orientale controllata dal generale Khalifa Haftar. “Ho una posizione per voi, se la volete. Stavate cercando qualcosa? Ho una posizione per voi”, dice aggiungendo le coordinate del peschereccio. Poco dopo, la Tareq Bin Zeyad (TBZ), una motovedetta di grandi dimensioni, raggiunge il punto suggerito dal velivolo. I miliziani armati salgono sull’imbarcazione, la legano con una cima e la trainano verso Bengasi. L’inchiesta giornalistica internazionale di due anni fa che ha ricostruito questo caso emblematico di un respingimento di migranti, frutto del coordinamento tra l’Europa e le autorità libiche di un governo non riconosciuto né dall’Ue né dall’Onu, svelò anche la sorte dei migranti a bordo del peschereccio una volta rientrati in Libia. “Siamo stati picchiati e torturati per 22 giorni. Le donne sono state stuprate”, racconterà un richiedente asilo siriano.
Facciamo un salto in avanti nel tempo e arriviamo al 5 giugno di quest’anno. La barca a vela Madleen della Freedom Flotilla di Greta Thunberg e dell’eurodeputata Rima Hassan naviga a sud di Creta e punta verso Gaza per portare aiuti umanitari ai palestinesi, quando riceve una chiamata di emergenza. Frontex la contatta e chiede un intervento urgente per prestare soccorso a una quarantina di migranti partiti dalla Libia su un gommone in avaria. Non appena intercetta l’imbarcazione in difficoltà, la Madleen è raggiunta da una grande nave da pattugliamento, la TBZ3, che esorta gli attivisti a restare alla larga. Per paura di essere riportati nei centri di detenzione libici, quattro migranti si gettano in acqua e riescono a raggiungere la barca a vela, mentre gli altri sono recuperati dalla motovedetta e riportati a Bengasi. I superstiti raccontano di essere in fuga dalla guerra in Sudan.
Capire chi e come abbia permesso a Haftar di dotarsi di mezzi miliari come la TBZ e la TBZ3 consente di comprendere come la violazione sistematica dell’embargo delle armi in Libia finisca per fare il gioco degli stessi stati europei, preoccupati affinché il generale della Cirenaica disponga degli strumenti necessari a fermare il flusso dei migranti. Il Foglio ha ricostruito gli eventi che risalgono allo scorso agosto e che hanno portato al sequestro avvenuto in Spagna di un carico di motovedette usate per i respingimenti illegali dei migranti, provenienti dagli Emirati Arabi Uniti e dirette a Bengasi in violazione dell’embargo sulle armi in Libia previsto dall’Onu. Si tratta di sequestri molto rari, “perché gran parte del materiale bellico inviato in Libia dal Golfo o dalla Turchia riesce comunque a passare nel Mediterraneo, senza essere rintracciato”, confessa una fonte diplomatica al Foglio. Ma nonostante l’eccezionalità del sequestro, tutti gli attori europei coinvolti – dalla Spagna alla missione europea Irini, passando per la Commissione europea – hanno preferito non amplificare la notizia.
L’analista Jeremy Binnie di Jane’s, il principale portale open source al mondo che raccoglie dati e informazioni sulla Difesa e la Sicurezza, ci ha raccontato che a giugno di quest’anno la portacontainer Bahri Diriyah ha consegnato diverse imbarcazioni al porto di Bengasi, tutte fabbricate dai cantieri Grandweld di Dubai. Nuove di zecca, tra queste c’erano quattro pattugliatori, tutti denominati con la sigla TBZ, le iniziali della brigata “Tareq Ben Zeyad” comandata da Saddam Haftar e responsabile, secondo le Nazioni Unite, di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti. E’ a questa brigata, armata e finanziata anche dai mercenari russi della Wagner, che l’Europa delega il controllo delle rotte che dall’est della Libia si dirigono verso Grecia, Malta e Italia. E sono loro a svolgere per conto nostro il “lavoro sporco”, quello dei respingimenti, considerato una pratica illegale dalle Nazioni Unite ma diventata ormai parte integrante della strategia antimigranti dell’Ue.
Quella di giugno era solamente una tranche di una consegna più grande proveniente dagli Emirati e diretta a Haftar. La seconda doveva avvenire a luglio, ma qualcosa è andato storto per merito delle autorità spagnole e della missione europea Irini, che su mandato dell’Onu sorveglia il rispetto dell’embargo delle armi in Libia. E’ su questo nuovo carico di mezzi militari e sui suoi mittenti che si è concentrata l’indagine del Foglio.
Il 18 luglio scorso, dal porto emiratino di al Fujayrah, salpa la Lila Mumbai, una portacontainer che batte bandiera liberiana diretta a Bengasi. Visto il trambusto nel Mar Rosso a causa degli houthi, la nave è costretta a circumnavigare l’Africa. Trasporta imbarcazioni di discrete dimensioni ben visibili in coperta, alcune delle quali avvolte da teli bianchi per non dare nell’occhio. Una volta attraversato lo Stretto di Gibilterra, il 27 agosto, le autorità della Guardia Civil spagnola fermano la Lila Mumbai a Ceuta per una sospetta violazione dell’embargo in Libia. E’ la stampa locale a darne notizia. El Faro de Ceuta riferisce che l’ordine di intercettare la nave è arrivato dal ministero degli Esteri spagnolo. Mentre la Commissione europea decide di non commentare l’intervento, la missione europea Irini conferma al Foglio di avere ricoperto un ruolo centrale, suggerendo alla Capitanía Marítima di intervenire. “L’operazione ha segnalato alle autorità spagnole l’opportunità di procedere a un’ispezione, consentendo così il tempestivo intervento”, ci conferma una fonte di Irini. Dal 2020 a oggi, la missione europea si è resa diretta protagonista del sequestro di veicoli militari diretti in Libia solamente in altre due occasioni, entrambe nel 2022. In altri casi, le indagini vengono gestite dai paesi dell’Ue su “suggerimento” di Irini. Il sequestro del carico della Lila Mumbai viene però trattato con un certo riserbo, senza alcun comunicato della missione e senza post sui canali social. Nel frattempo, la nave è scortata al porto di Algericas per proseguire le ispezioni. Il 18 settembre, l’emittente Europasur filma e fotografa i pattugliatori scaricati dalla nave e sottoposti a indagini (nella foto in basso). Sono dieci imbarcazioni, otto tra motoscafi veloci e mezzi anfibi e due motovedette di grandi dimensioni. Dalle riprese video si nota l’IMO, il codice identificativo univoco, di una delle due imbarcazioni, la TBZ17. Tramite questo codice è possibile risalire ai dettagli di una parte del carico.
Sia la TBZ17 sia l’altra imbarcazione gemella a bordo, la TBZ18, risultano costruite dalla Grandweld, lo stesso cantiere emiratino di tutte le TBZ consegnate a Bengasi a partire dal 2023. Il pattugliatore è di nuova fabbricazione e batte bandiera di St. Kitts and Nevis dal 2 maggio di quest’anno, come risulta dai documenti dei registri navali del paese caraibico forniti al Foglio. Con un tempismo sospetto, il 24 luglio, cioè solo pochi giorni prima che la Lila Mumbai venga intercettata dagli spagnoli, la TBZ17 viene cancellata dal registro di St. Kitts and Nevis. Secondo quanto risulta nel database Seasearcher del Lloyd’s List Intelligence, che raccoglie i dati confidenziali di ogni imbarcazione in circolazione, a partire dal 21 maggio il proprietario è la Multham International Ltd, una società registrata a Hong Kong. Occhio alle date, perché la registrazione per ottenere la bandiera di St. Kitts and Nevis è di una ventina di giorni prima, quindi si desume che la nave avesse un altro proprietario prima del 21 maggio. L’informazione del passaggio di proprietà è difficile da reperire ma secondo il portale Vessel Finder, che raccoglie i dati di tracciamento satellitare AIS di ogni nave, il proprietario originario è la 2020 Volume Boats Maintenance & Repairing Ltd, con sede a Dubai. “A oggi, non abbiamo informazioni circa un proprietario diverso dell’imbarcazione. Preferiamo non svelare la fonte dei nostri dati”, fa sapere Vessel Finder al Foglio.
Una coincidenza notevole, quella della 2020 Volume Boats Maintenance & Repairing, perché questa stessa società compare anche in uno degli ultimi report del Panel of Experts delle Nazioni Unite sulla Libia, quello del dicembre 2024. La Volume 2020 Boats Maintenance & Repairing Ltd è di proprietà di Amro Ibrahim, un cittadino giordano, classe 1986, attivo negli Emirati Arabi Uniti. Secondo il team di indagine dell’Onu, tra il 2023 e il 2024 le sue società si sono rese responsabili della violazione dell’embargo sulle armi in Libia inviando a Bengasi diverse unità navali consegnate a società direttamente controllate dalla famiglia Haftar. Si parla di 41 gommoni e 5 pattugliatori consegnati nella Libia orientale. Due di questi ultimi avevano attirato l’attenzione del Panel. Un Rodman 66 e un Damen Stan 2706, smantellati nel 2022 dalla Guardia Costiera belga. Perfettamente funzionanti, le due motovedette sono cedute a settembre dello stesso anno a una società italiana tenuta anonima nel rapporto dell’Onu. Coincidenza, proprio lo stesso mese i due pattugliatori sono subito rivenduti da questa società italiana a un’altra società di Amro Ibrahim, la Volume FZCO specializzata in “telefonia, soluzioni per le comunicazioni, tecnologie per droni”, che a sua volta li recapita a Bengasi nel marzo 2023. La Volume “era rappresentata da Amro Salem Ismael Ibrahim, in qualità di manager e proprietario”, conclude il rapporto degli esperti.
Non solo, la stessa TBZ, l’imbarcazione comparsa all’inizio della nostra storia per respingere un gruppo di migranti con la collaborazione delle autorità europee, risulta appartenere alla 2020 Volume Boats Maintenance & Repairing Ltd. Sembrerebbe inoltre che la società sia tuttora operativa anche nella Libia orientale. Su Linkedin, un uomo di nazionalità indiana – che ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni al Foglio – afferma di essere dipendente della 2020 Volume by Asha Co. a Bayda, non lontano da Bengasi, con la mansione di “supervisore”.
Ma allora come si spiega il fatto che dal 21 maggio in poi la TBZ17, che faceva parte integrante del carico destinato a Bengasi, risulta appartenere a un’altra società con sede a Hong Kong e che non sembra avere nulla a che fare con gli Emirati? “Siamo nati nel 2014 in Giordania e ci siamo espansi nel 2017 negli Emirati Arabi Uniti e nel 2020 a Hong Kong”, spiega la Volume FZCO su Linkedin. E nella visura dei documenti del registro delle imprese di Hong Kong si legge che anche la Multham International Ltd, ufficialmente proprietaria delle TBZ di Haftar, appartiene a un altro cittadino giordano, Omar Mahmoud Hasan Mustafa, proprietario a sua volta di un’altra compagnia a Qingdao, in Cina, la Qingdao Haoding International Trading Co. Ltd, specializzata nelle forniture di imbarcazioni e di pezzi di ricambio per auto. Il Foglio ha tentato di contattare sia il signor Amro Ibrahim sia il signor Omar Mustafa, senza successo. “Non siamo autorizzati a fornire i suoi recapiti, gli scriveremo per avvisarlo e starà al signor Mustafa decidere se ricontattarvi”, ci ha risposto la società che gestisce gli interessi della Multham a Hong Kong. A oggi, non è arrivata alcuna risposta da quella che sembra una società fantasma, senza recapiti telefonici o telematici e solamente un indirizzo fisico. “C’è una pratica comune che è uno schema di vendita e riaffitto per le navi – spiega una fonte al Foglio – Funziona così: hai una nave e non vuoi risultare come il proprietario, quindi la vendi a qualcun altro e subito dopo la riprendi in leasing e ti accordi per ricomprarla alla fine del periodo di affitto. In questo modo, il proprietario legalmente riconosciuto è un altro, sulla carta, sebbene tu ne mantenga il controllo operativo. I registri mostrano solamente la vendita, non i leasing o le impegnative per il riacquisto. E la legislazione speciale di Hong Kong lo rende uno dei luoghi preferiti per questo genere di espedienti”.
Nel frattempo, Madrid risponde con un secco “no comment” dietro alla richiesta di informazioni riguardo al sequestro della Lila Mumbai. “I rapporti con Haftar sono già molto tesi, non vogliono sottolineare eventuali nuovi attriti con la Cirenaica”, spiega al Foglio una fonte vicina al gabinetto del premier Pedro Sánchez. Una frattura che riguarda di tutto, dal traffico di armi, al petrolio, fino allo sport. La settimana scorsa, il Barcellona era atteso a Bengasi per giocare un torneo di calcio nel nuovo stadio inaugurato dagli Haftar. La ricompensa per la trasferta era di 5 milioni di euro, pagati in anticipo dalle autorità della Libia dell’est, una somma elevata che avrebbe contribuito a dare respiro alle difficoltà economiche in cui versa la squadra catalana, che però all’ultimo ha misteriosamente deciso di disertare l’evento e restituire la cifra anticipata, “per questioni di sicurezza”. Un affronto per gli Haftar che hanno protestato. La Camera dei rappresentanti di Tobruk ha inviato una lettera di lamentele all’ambasciata spagnola e nel frattempo un invito è stato accettato dall’Atletico Madrid, quasi a volere testimoniare che i problemi di sicurezza avanzati dal Barcellona erano una scusa per tentare uno sgarbo a Haftar. Le tensioni fra il governo di Sánchez e il clan della Cirenaica riguardano anche altri dossier. Uno è quello sulle armi, perché a dicembre del 2024 il quotidiano l’Independiente svelò la notizia di una indagine in corso su tre aziende spagnole che avevano trafficato armi con Haftar. Ben 44 droni da usare per il monitoraggio delle rotte migratorie e con un valore di quasi 15 milioni di euro dovevano essere consegnati a Bengasi, ma l’intervento della Guardia Civil bloccò parte della transazione. Le autorità spagnole hanno quindi emesso un mandato d’arresto per Saddam Haftar, considerato il beneficiario di queste consegne. Finché, a luglio dello scorso anno, Saddam fece un viaggio molto strano in Italia. Atterrò a Genova usando un nome falso, ma fu fermato qualche giorno dopo a Napoli all’aeroporto di Capodichino, dove inspiegabilmente decise di usare il suo vero nome. Fu trattenuto per alcune ore dalla polizia, il tempo di decidere cosa fare con il figlio del generale libico e se ottemperare o no al mandato di arresto emanato dagli spagnoli. Alla fine, Saddam fu rilasciato e rimandato in Libia, ma questo non placò l’ira di Haftar che aveva scoperto che gli spagnoli lo volevano in carcere. Appena rientrato a Bengasi, come ritorsione contro Sánchez, i libici ordinarono la chiusura del giacimento petrolifero di Sharara, uno dei più grandi al mondo, gestito dalla spagnola Repsol.
Mentre la Spagna fa la guerra a Haftar sequestrando motovedette e droni da usare per il controllo delle rotte dei migranti, Grecia, Malta e Italia ne pagano le conseguenze, in quanto principali paesi di destinazione delle partenze dall’est della Libia. Roma, Atene e La Valletta da anni hanno ottenuto il pieno sostegno della Commissione europea e a oggi l’esternalizzazione delle frontiere europee, anche con l’aiuto di Haftar, è diventata un pilastro della politica migratoria dei 27. In questo schema, gli Emirati Arabi Uniti sono un valido aiuto per la strategia dell’Ue. Il paese del Golfo segue una propria agenda in Cirenaica, diventata il ponte per le forniture di armi dirette al Sudan e al Ciad, paesi in cui gli emiratini hanno enormi interessi economici, come l’estrazione dell’oro. Con voli quasi quotidiani, Abu Dhabi invia armi e mezzi che fanno scalo negli aeroporti del sud della Libia per poi proseguire verso sud con il placet di Haftar, che in cambio riceve “regali” come quelli trasportati dalla Lila Mumbai e che lo mettono in condizione di controllare le rotte dei migranti.
Sono due gli interrogativi, uno legato all’altro, rimasti ancora senza risposte riguardo alla vicenda del sequestro in Spagna. Dopo avere requisito le dieci imbarcazioni a bordo ed essere rimessa in libertà, la nave si è diretta al porto di Tripoli, una tappa non programmata inizialmente e raggiunta il 26 settembre. E’ rimasta in porto per un giorno e mezzo, il tempo necessario a scaricare qualcos’altro. Lo scorso agosto, successe lo stesso con la Aya 1, la portacontainer protagonista di una indagine sulle colonne di questo giornale, ora finita all’attenzione del Panel of Experts del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Dopo essere stata fermata in Grecia mentre era carica di pick-up blindati inviati dagli Emirati Arabi Uniti a Haftar, alla Aya 1 fu comunque concesso di salpare dirigendosi verso Misurata, da dove parte del carico ha raggiunto ugualmente il destinatario originario a Bengasi, via terra. Se con la Lila Mumbai si sia replicato lo stesso schema è tutto da vedere. Giorni fa ha cominciato a circolare la notizia di un tentativo da parte dell’Ue di reindirizzare verso Tripoli i (pochi) carichi di armi e blindati fin qui requisiti da Irini e originariamente diretti a Bengasi. Su tutti, si fa riferimento al cargo MV Meerdijk, sequestrato mentre trasportava mezzi blindati a ottobre del 2022 e da allora ormeggiato a Marsiglia. L’intento sarebbe duplice: risolvere il problema di cosa fare con grandi quantità di materiale bellico requisito e rinforzare l’unico governo internazionalmente riconosciuto in Libia, quello di Tripoli. Un espediente che permetterebbe di aggirare l’embargo sulle armi, perché in teoria finalizzato a consolidare le sole autorità del paese considerate legittime. Il caso dell’Aya 1 ha dimostrato che invece queste armi possono ugualmente finire nelle mani di Bengasi passando da Tripoli. Interpellate dal Foglio in merito, Irini e la Commissione europea non hanno ritenuto opportuno commentare.