La zia d'Israele

Così Miriam Farbstein ha contribuito all'accordo. I legami con Trump e Netanyahu

Fiammetta Martegani

Imprenditrice, finaziatrice della campagna elettorale del presidente americano per il bis alla Casa Bianca, sostenitrice e poi grande accusatrice del premier israeliano. Chi è la beniamina dei parenti degli ostaggi, ringraziata da Trump durante il suo intervento alla Knesset 

Tel Aviv. It’s a man’s world. E ieri più che mai lo si è visto sia durante il Summit a Sharm el Sheik   – l’unica donna presente era il  primo ministro italiano Giorgia Meloni sia durante la visita del presidente americano Donald Trump alla Knesset, dove hanno discusso lungamente solo parlamentari uomini, ringraziandosi accuratamente tra di loro. Salvo l’imprevisto ringraziamento di Trump a una donna seduta “in panchina”, tra la platea del Parlamento israeliano: “Thank you Miriam! Oggi non saremmo qui se non fosse per te”. E lo confermano anche gli israeliani, che in Piazza degli ostaggi – oltre ai cartelli con le foto dei rapiti – sfilano con una sua foto, ringraziando la loro Zia d’America. Si tratta di Miriam Farbstein, israeliana per nascita ma americana di adozione, medico per formazione – ha studiato microbiologia all’Università Ebraica di Gerusalemme e poi ha conseguito la laurea in medicina presso l’Università di Tel Aviv – ma imprenditrice per vocazione. Oggi leader nel settore farmaceutico, ha contributo in modo massiccio alla campagna elettorale di Trump – sia nel 2016 che nel 2024 – legando in modo affatto scontato il destino di Israele a quello degli Stati Uniti. Nata nel 1945 a Tel Aviv, ha costruito la sua carriera imprenditoriale negli Stati Uniti nel settore farmaceutico, specializzandosi nella ricerca sulle dipendenze. Dopo il matrimonio con Sheldon Adelson – magnate dei casinò di Las Vegas – Farbstein è passata dal laboratorio ai vertici dell’influenza politica internazionale, fondendo l’amore per il suo paese natale con un’ambiziosa strategia politica. Negli Stati Uniti è ormai nota come Miriam Adelson e come una delle principali finanziatrici del Partito repubblicano.  Il suo appoggio, però, non è mai stato solo economico. Adelson ha da sempre condiviso e promosso la sua visione geopolitica a Trump: spingendo per un’America schierata senza riserve a favore d’Israele. E’ stata tra le voci che hanno spinto per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale e per il trasferimento dell’ambasciata statunitense: decisioni che hanno segnato una svolta storica su scala internazionale.


In Israele il suo nome è noto soprattutto sul piano mediatico, avendo fondato Israel Hayom, quotidiano gratuito – e originariamente grande sostenitore del premier Benjamin Netanyahu – divenuto uno dei più letti del paese. Il legame tra gli Adelson e Netanyahu è stato solido per oltre un decennio, basato su interessi comuni e una visione condivisa del ruolo di  leader di Israele nella geopolitica del medio oriente. Tuttavia, dopo il 2019, la loro relazione si è incrinata. Media locali hanno parlato di tensioni personali tra Adelson e Sara Netanyahu,  la moglie del premier,  accusata di aver esercitato grosse pressioni per ottenere un trattamento mediatico più favorevole. Negli anni avvenire, nel corso del processo – ancora in corso – per corruzione, che coinvolge Netanyahu, Adelson ha anche testimoniato contro di lui, rivelando episodi imbarazzanti di corruzione riguardo la coppia. Dopo la morte del marito, nel 2021, il tono editoriale di Israel Hayom è diventato sempre più indipendente, segnando la distanza crescente tra la milionaria e l’ex alleato politico, di cui condivideva la visione, ma non l’operato.


Alla base dell’impegno politico di Adelson c’è una profonda visione di lungo periodo: rafforzare l’immagine di Israele come baluardo democratico del medio oriente e assicurare che gli Stati Uniti restino il suo alleato più solido. Per gli israeliani rappresenta la determinazione di chi difende la sicurezza e l’identità del paese e, dal 7 ottobre 2023, il suo coinvolgimento personale per rendere possibile il ritorno di tutti gli ostaggi e il suo impatto nell’implementazione del piano proposto da Trump, hanno conquistato il cuore dell’intera società israeliana, creando un filo tanto invisibile quanto indissolubile tra Gerusalemme e Washington.


Oggi Adelson continua a finanziare progetti legati alla promozione della cultura ebraica e alla ricerca medica, con la stessa determinazione che l’ha portata dalla carriera imprenditoriale a quella politica, continuando a plasmare il dialogo tra Israele e Stati Uniti, in direzione dei tanto attesi Accordi di Abramo con i futuri paesi firmatari.  E nonostante lunedì non fosse presente fisicamente al Summit di Sharm el Sheik, la sua presenza inequivocabile si è sentita nel saluto finale di Trump alla Knesset: “God bless the Middle East”.