dal Washington Post

Il merito principale per il cessate il fuoco a Gaza è dell'Idf e di Netanyahu

George F. Will

La lezione del 7 ottobre è che solo la potenza militare ha reso possibile la pace. Israele ha scelto di distruggere Hamas e Hezbollah per non dover più dire “Mai più”

"Se inizi a prendere Vienna, prendi Vienna."  – Napoleone

Ora sono necessarie parole senza mezzi termini, altrimenti non ci tireremo indietro dal riconoscere la dura – e per molti, inquietante – lezione dei successi di Israele dal 7 ottobre 2023.  La lezione è questa: spesso è la forza militare – e spesso solo essa – a poter creare lo spazio necessario alla diplomazia. Il merito principale per il cessate il fuoco tra Israele e coloro che ancora aspirano a distruggerlo va alle Forze di difesa israeliane (Idf). Il merito, dunque, spetta anche al primo ministro che ha impiegato l’Idf con il giusto, austero disinteresse per le opinioni del mondo: Benjamin Netanyahu.

L’attuale cessate il fuoco nella guerra che dura da due anni sarà qualcosa di più di una semplice pausa? Se lo sarà, sarà perché il 7 ottobre 2023 Israele ha compreso che la condizione necessaria per la cessazione delle ostilità era anche sufficiente: distruggere la capacità di Hamas e di Hezbollah di condurre la guerra. L’ora dei diplomatici è arrivata dopo – e grazie a – i combattimenti di coloro che costituiscono la punta della lancia di Israele contro la violenza gratuita e non provocata. Grazie, cioè, ai giovani uomini e donne dell’Idf. La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti riconosce l’obbligo di mantenere “un rispetto dignitoso per le opinioni dell'umanità” (enfasi aggiunta). Ma si tratta di un rispetto indegno quando le opinioni del genere umano non sono rispettabili, o quando rispettarle comporta conseguenze indecenti. Bisogna riconoscere al governo Trump il merito di aver reso possibile la vittoria di Israele non limitandone il diritto alla legittima difesa. La politica americana, troppo spesso, ha invece frenato l’Ucraina dopo l’attacco russo del 24 febbraio 2022.

Gli storici valuteranno se e quando Israele abbia fatto uso di una forza sproporzionata. Ma gli storici le cui conclusioni meriteranno davvero rispetto saranno quelli che sapranno confrontarsi con la realtà del 7 ottobre: quando Israele era confinante con un’enclave sotto il controllo di sadici organizzati, che si nascondevano dietro una popolazione civile tenuta in ostaggio. Gli storici dovrebbero cominciare dall’inizio – ricordando le violenze sessuali e di altro tipo registrate dalle bodycam di Hamas il 7 ottobre.

Dovranno riconoscere che Netanyahu, responsabile della sicurezza della sua nazione, ha afferrato l’ortica a mani nude. Ha agito secondo l’assioma di Napoleone – di cui esistono varie versioni – ma che ha un significato chiaro: nelle grandi imprese, evita ogni esitazione. Tutte le guerre finiscono. La Guerra dei Cent’anni, quella dei Trent’anni, quella dei Sette anni, e tutte le altre, prima e dopo, sono finite. Alcune per reciproca o asimmetrica stanchezza, altre con negoziati di compromesso. La guerra che si è interrotta – e forse conclusa – la settimana scorsa ha ricordato al mondo che Israele non ha mai conosciuto un solo giorno di pace, nel vero senso della parola. La pace non è soltanto l’assenza di violenza. È una condizione in cui la minaccia della violenza non è il costante rumore di fondo dell’esistenza. Israele è stato attaccato da attori non statali, Hamas e Hezbollah, impegnati nella distruzione dello Stato israeliano – proseguendo una condizione che precede la nascita stessa di quello stato.

Il 14 maggio 1948, quando Israele dichiarò la propria indipendenza, questa aspirazione era tanto lontana dal compimento quanto lo era l’indipendenza proclamata dalle tredici colonie nordamericane contro l’impero più potente del mondo il 4 luglio 1776. Israele, nato all’indomani della Seconda guerra mondiale, divenne indipendente durante una guerra già in corso da anni, combattuta dai paesi arabi per impedirne l’esistenza. Israele ha sempre avuto – perché se l’è meritato – il sostegno degli Stati Uniti. Ma non ne è mai dipeso. Nella scena finale del dramma di Tennessee Williams Un tram che si chiama Desiderio, Blanche DuBois esclama: "Ho sempre contato sulla gentilezza degli sconosciuti". Secoli di dure esperienze, culminati ad Auschwitz, hanno insegnato al popolo ebraico i rischi mortali della dipendenza dagli altri. La nascita di Israele è stata una proclamazione post Olocausto: "Mai più!".

La decisione di Netanyahu, dopo il 7 ottobre, di distruggere Hamas e Hezbollah significava che Israele non avrebbe mai più dovuto trovarsi nella condizione di dire ancora una volta “Mai più!”. Il suo uso della forza ha forse ridotto, nel complesso, la quantità di violenza. La distruzione di due organizzazioni nemiche potrebbe tradursi, negli anni a venire, in un numero minore di morti su entrambi i fronti. Per decenni, i funzionari americani hanno tempestato Israele di motivi per cui, nei negoziati con nemici bellicosi, avrebbe dovuto “correre un rischio per la pace”. A uno di questi funzionari Netanyahu rispose, con riferimento a un tranquillo sobborgo di Washington: "Lei vive a Chevy Chase. Non giochi con il nostro futuro".

Per Israele, come per l’Ucraina dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, l’esistenza stessa è stata un rischio. Israele ha rifiutato di ammainare le vele per adattarsi alle folate delle opinioni critiche di chi vive comodamente, a distanza di sicurezza dalla violenza. Come l’esempio di fermezza dell’Ucraina, anche quello di Israele è un dono a un occidente solo intermittentemente risoluto.

   

Copyright Washington Post

Di più su questi argomenti: