“We have a deal”

Così Hamas è stato convinto ad accettare il piano di Trump. Resa dei conti a Gaza City

Paola Peduzzi

Quarantacinque minuti per sbloccare l’accordo. Dopo due anni di guerra, gli emissari americani Kushner e Witkoff stringono la mano ai leader di Hamas e il cessate il fuoco diventa realtà. Le pressioni dei paesi arabi e il messaggio diretto del presidente americano convincono i miliziani

Nella notte tra l’8 e il 9 ottobre, gli inviati americani a Sharm el Sheikh, Jared Kushner e Steve Witkoff, hanno incontrato la delegazione di Hamas per 45 minuti, e poi è cambiato tutto. L’imprescindibile Barak Ravid, il reporter con le fonti più solide del globo, ha pubblicato ieri la ricostruzione di questo incontro decisivo: dopo che in modo del tutto inusuale gli americani hanno avuto contatti diretti con il gruppo terroristico palestinese, la giornata di ierila liberazione degli ostaggi rimasti vivi in più di due anni, la liberazione dei detenuti palestinesi, il discorso di Donald Trump alla Knesset, un nuovo vertice in Egitto – è diventata possibile. Il giorno prima, il presidente americano aveva detto a suo genero e al suo inviato in medio oriente: se per chiudere l’accordo è necessario che stringiate la mano ai leader di Hamas, fatelo. Quindi quando Kushner e Witkoff sono arrivati sul Mar Rosso hanno subito detto ai delegati di Qatar, Egitto e Turchia che avevano il via libera di Trump, se necessario. Lo è stato: nella notte di mercoledì 8 ottobre, i mediatori del Qatar sono andati al Four Season di Sharm da Witkoff e gli hanno detto che il negoziato si era inceppato, ma “pensiamo che se voi incontrate Hamas e gli stringete la mano, l’accordo ci sarà”.

    
Pochi minuti dopo, Witkoff e Kushner sono entrati in un’altra villa del resort.  Ad aspettarli c’erano i capi dell’intelligence dell’Egitto e della Turchia, i funzionari del Qatar e quattro leader di Hamas, tra cui Khalil al Hayya, sopravvissuto all’attacco israeliano a Doha di tre settimane prima. Secondo le fonti di Ravid, nei 45 minuti di colloquio, Witkoff ha detto ai leader di Hamas che gli ostaggi erano diventati “più un ostacolo che un asset” per loro e che era venuto il momento di “far tornare le persone a casa loro, da entrambe le parti del confine”. Al Hayya ha chiesto se ci fosse un messaggio diretto da Trump e Witkoff ha detto: “Il messaggio del presidente è che sarete trattati in modo equo e che sostiene tutti e 20 i punti del piano di pace, e che farà in modo che tutti siano implementati”. Alla fine dell’incontro, i leader di Hamas sono andati in una stanza soltanto con i qatarini, gli egiziani e i turchi e pochi minuti dopo, il capo dell’intelligence del Cairo, Hassan Rashad, è tornato da Witkoff e Kushner e ha detto: “Sulla base di quest’ultimo colloquio, we have a deal”, c’è l’accordo. Secondo una fonte di Ravid, la determinazione dei due emissari americani, nonostante i rischi, si è rivelata la garanzia necessaria a Hamas per credere al piano per Gaza.

    
Il Wall Street Journal ha raccontato l’altro pezzo della storia: la pressione dei paesi arabi e della Turchia su Hamas. Le parole che i due reporter, Jared Malsin e Summer Said, riportano sono simili a quelle utilizzate da Witkoff – gli ostaggi sono un ostacolo per Hamas – ma c’è un senso ulteriore che riguarda l’ultima possibilità concessa al gruppo terroristico: non ci sono più alternative. A lungo si è discusso del fatto che i mediatori arabi non avessero mai esercitato una pressione sufficiente su Hamas, ma questa volta le condizioni erano cambiate: da un lato si erano rafforzate le relazioni sia tra l’America di Trump e i paesi del Golfo e la Turchia, sia il dialogo tra gli stessi paesi della regione; dall’altro l’attacco di Israele al Qatar aveva fatto temere a tutti per la loro sicurezza. Questo processo di responsabilizzazione non ha ancora avuto al suo centro i palestinesi, ma l’interesse nazionale di ognuno dei paesi coinvolti, e l’effetto complessivo è stato efficace. Il Wall Street Journal scrive: “Al Hayya e Hamas stavano finendo il tempo che le potenze regionali avevano deciso di concedere. Già la prima sera dell’incontro a Sharm el Sheikh (della settimana scorsa, ndr), i mediatori avevano  avvisato Hamas: fidatevi del piano di Trump o vi ritroverete con una guerra senza fine, avete cinque giorni per decidere”. Il gruppo terroristico palestinese ci ha messo di meno. 
             

Ieri nei territori, compresa la Striscia di Gaza, sono stati accolti i quasi duemila prigionieri palestinesi rilasciati da Israele. Ci sono stati momenti di festa, abbracci, spari di esultanza e queste immagini si sono accavallate con quelle dei due giorni precedenti: la colonna di palestinesi in cammino per tornare a Gaza City, la speranza e la delusione mescolate assieme alle macerie, e poi invece la violenza. Secondo la Bbc ci sono stati almeno 30 morti nella Striscia in quello che è considerato un regolamento di conti interno tra clan armati e Hamas, che ha – secondo alcune fonti – chiamato settemila miliziani per riassicurarsi il controllo di alcune zone. Il gruppo smentisce, dice che non ci sono i suoi combattenti per le strade, ma nelle chat telegram legate al gruppo si parla di caccia “ai collaborazionisti e ai traditori”. Per ora i mediatori dicono che non c’è da temere per il cessate il fuoco, e i palestinesi festeggiano i loro ritorni e i camion di aiuti da cui dipende la loro sopravvivenza.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi