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L'editoriale dell'elefantino
Netanyahu e una leadership alla prova della storia, con quel punto di svolta atteso da molti decenni
Il primo ministro israeliano può essere considerato oggi come il vero vincitore. Una pace eterna è una chimera, ma un nuovo inizio, a partire dalla sconfitta dell’asse Teheran-Hamas-Hezbollah-Assad, è possibile
Netanyahu è l’uomo politico più detestato del momento, almeno tra la brava gente di buona coscienza. Il primo ministro di Israele è bersagliato da accuse infamanti. Non ha vigilato e protetto i suoi concittadini, trucidati a centinaia nel corso di un pogrom: è il colpevole presunto della più grave strage antisemita per omissione e per doppio gioco con Hamas, essendo nemico della soluzione dei due stati. Ha condotto una guerra spietata a Gaza, facendo decine di migliaia di morti, donne vecchi e bambini. E’ considerato un criminale di guerra, le truppe ai suoi ordini si sono macchiate di atrocità di cui lui è il responsabile politico e morale. Una corte internazionale lo ha inquisito e ha emesso un mandato di cattura per lui e per il suo ex ministro della Difesa. Davanti alle salme dei piccoli Bibas, bambini appena nati e presi in ostaggio il 7 ottobre, morti in prigionia, Hamas, che li aveva rapiti e uccisi, ha radunato una festa inneggiante di bambini palestinesi indottrinati che danzavano e glorificavano il misfatto sullo sfondo di un ritratto di Netanyahu rappresentato come un Nosferatu, denti e volto intrisi del sangue delle sue vittime.
L’accusa più lancinante è anche la più grottesca: per due anni Netanyahu avrebbe prolungato la guerra, caparbiamente e inutilmente, allo scopo di tenere insieme la sua maggioranza, compresi ministri determinanti della destra religiosa e fanatica, e sopravvivere come primo ministro, sottraendosi anche a un processo in cui gli si imputa uno scambio di favori a potenti della finanza e dell’editoria contro il loro sostegno e consenso. Per due anni, trascinati dalla passione umanitaria per i loro cari, famigliari delle vittime di Hamas sono stati al centro di un tenace movimento di piazza, solidale e dolente, che ha in sostanza messo sulle sue spalle la mancata liberazione degli ostaggi, sembrava che fossero suoi prigionieri. Uno messo così si direbbe spacciato mille volte, tanto più nel contesto di un feroce isolamento internazionale del suo governo e del suo paese, con l’eccezione dell’Amministrazione americana sotto Donald Trump.
Invece, a guardare le cose sotto l’aspetto della verità politica e non del pregiudizio propagandistico travestito da moralismo, Netanyahu può essere considerato oggi come il vincitore della guerra e della pace, e come colui che ha trascinato gli Stati Uniti in una coalizione capace di mettere in moto, sotto la spinta delle decisioni del governo di Gerusalemme, e del combattivo e coraggioso esercito, l’Idf, una sequenza di fatti militari e politici che è l’ultima speranza per una pacificazione e stabilizzazione del medio oriente. Una stabilizzazione nel segno della sicurezza per Israele e per i suoi vicini, obbligati a passare dal nichilismo sterminazionista a un difficile e incerto percorso di razionalità e di accettazione della rivoluzione sionista anticoloniale del 1948, dopo infinite guerre e infiniti lutti e infiniti e fallimentari tentativi di pace nel segno del mito dei due stati. La pace eterna di cui parla il nobélisable non nobelizzato Trump è una chimera. Ma un nuovo inizio, a partire dalla sconfitta dell’asse Teheran-Hamas-Hezbollah-Assad, è possibile. Probabile che gli elettori israeliani decidano di cambiare cavallo al prossimo voto, come avvenne con Churchill che fu l’eroe, solitario e isolato per un anno e mezzo, della vittoria nell’ultima guerra difensiva paragonabile a quella che ha sconvolto infine il medio oriente e promette di cambiare la mappa del terrore totalitario jihadista.
D’altra parte Netanyahu è lì da quasi vent’anni e ha realizzato gran parte del programma sul quale aveva chiesto, sempre in una situazione di aspra conflittualità democratica, il consenso dei compatrioti. Ma sarà difficile nei libri di storia seri, se non nei materiali di propaganda politica antioccidentale, antisionista e antisemita, evitare il giudizio equanime sull’operato di Netanyahu. Strappare il nucleare all’Iran dei mullah, ridare al Libano e al fronte israeliano del nord una speranza colpendo drasticamente Hezbollah, cambiare le carte in Siria, debellare il dominio di Hamas su Gaza, impedire che la Cisgiordania divenisse un’altra Gaza e imporre la riforma dell’Autorità nazionale palestinese, quel che resta dell’Olp, tutto questo l’ha realizzato un esercito di liberi e forti, professionale e nazionale-popolare, che ha pagato il tributo di mille caduti, sotto la guida di Netanyahu, procedendo a decisioni drammatiche, apparentemente impossibili, che solo un leader testardo e pieno di persuasiva passione per il suo lavoro e per il destino politico del suo paese, poteva prendere contro tutto e contro tutti. Altro che criminale e genocida, altro che affamatore del popolo, nei libri di storia sarà questa la leadership che ha determinato un punto di svolta atteso da molti decenni.