
I militari che sostengono la giunta golpista di Ibrahim Traorè in Burkina Faso (foto LaPresse)
il fronte sud
L'Ucraina lancia l'offensiva contro la Russia anche nel Sahel svuotato dagli europei
Mentre l'Ue va in ordine sparso, gli americani ammiccano ai governi golpisti in Mali, Niger e Burkina Faso e i jihadisti si espandono, Kyiv usa droni, intelligence e grano contro i mercenari di Mosca
Alla fine di luglio del 2024 a Tinzaouten, al confine fra Mali e Algeria, 84 mercenari russi degli Africa Corps e 47 soldati dell’esercito del Mali loro alleati furono uccisi dai ribelli tuareg in quella che resta a oggi la più disastrosa battaglia di sempre per gli uomini di Mosca da quando sostengono la giunta militare di Bamako. Alcuni giorni dopo Andriy Yusov, portavoce dell’intelligence militare ucraina, dichiarò che il merito di quella vittoria sui russi era di Kyiv, che aveva dato supporto ai ribelli fornendo “informazioni necessarie”. A ottobre, il Monde pubblicò un’inchiesta che dimostrava come i ribelli avessero a disposizione nel proprio arsenale dei droni ucraini usati per colpire i russi nelle loro basi nella regione di Timbuctù. Vista la tolleranza reciproca fra tuareg e jihadisti, Kyiv fu costretta a smentire tutto, ma l’impressione era che l’attivismo dell’Ucraina in Sahel era in controtendenza rispetto al ritiro delle forze occidentali dalla regione.
Da allora, le giunte golpiste di Mali, Niger e Burkina Faso, unite dal 2023 nell’Alleanza degli stati del Sahel e sostenute dalla Russia hanno lanciato una controffensiva diplomatica contro Kyiv che dura fino a questi giorni. Lo scorso 17 settembre i tre paesi hanno annunciato l’intenzione di presentare ricorso alla Corte penale internazionale contro Francia e Ucraina per il loro “sostegno al terrorismo”. Dopo pochi giorni ci hanno ripensato, e hanno dichiarato invece di volersi ritirare del tutto dalla Corte dell’Aia, in quanto “strumento di repressione neocoloniale nelle mani dell’imperialismo”. Negli stessi giorni, gli ambasciatori dei tre paesi africani in Russia hanno visitato la Crimea occupata, in quella che il ministero degli Esteri di Kyiv ha definito una “grave violazione del diritto internazionale, della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina”. Una serie di provocazioni e controprovocazioni che collocano ormai Francia e Ucraina sullo stesso piano agli occhi dei paesi golpisti della regione, in quanto forze accusate di destabilizzare il Sahel in nome di un nuovo colonialismo. Come ha detto Lamine Zeine Ali Mahaman, premier del Niger, intervenuto sabato scorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, paesi come la Francia hanno “responsabilità coloniali non ancora risolte”.
“L’offensiva diplomatica ucraina nella regione negli ultimi tempi è stata molto decisa e ha riguardato diversi fronti, da quello militare a quello umanitario”, spiega al Foglio Emanuela Del Re, già rappresentante speciale dell’Unione europea nel Sahel. Un’offensiva tanto decisa da evidenziare un paradosso: “Mentre quasi tutti i paesi occidentali erano impegnati a chiudere le loro ambasciate nel Sahel, l’Ucraina ne apriva di nuove”. Dal 2022, Kyiv ha inaugurato ben otto nuove sedi diplomatiche nella regione, l’ultima è stata quella in Mauritania lo scorso anno. Ed è proprio nella capitale, Nouakchott, che l’iniziativa ucraina ha preso i contorni più marcati di una cooperazione militare in senso anti russo. A giugno, l’inviato speciale di Kyiv per il medio oriente e il Nord Africa, Maksym Subkh, ha offerto alla Mauritania di addestrare le sue Forze armate e di inviare aiuti e tecnologia da impiegare contro i russi “che mettono in pericolo la stabilità della regione”. Di recente, molte voci si sono rincorse a proposito di un presunto transito di armi ucraine proprio attraverso la Mauritania a beneficio dei ribelli tuareg. Il ministero degli Esteri del paese nordafricano ha subito smentito, ma il caso resta emblematico. Sebbene abbia condannato l’aggressione russa in Ucraina, allo stesso tempo la Mauritania si è opposta alla sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, con una mossa che molti hanno giudicato contraddittoria ma che in realtà risponde a esigenze ben precise, non ultima la necessità di mantenere aperti i canali diplomatici con i golpisti del Mali, con cui confina.
Per Subkh, l’Ucraina e i paesi africani hanno molto in comune, perché così come il suo paese si batte per sottrarsi al giogo di Mosca, allo stesso modo in Sahel si lotta contro forze neocoloniali. Dal 2022 Kyiv ha lanciato una concorrenza agguerrita alla Russia in Africa con il suo programma “Grain from Ukraine”. Da allora, grazie alla riapertura dei porti nel Mar Nero e in collaborazione con il World Food Programme, l’Ucraina ha inviato tra l’Asia e l’Africa oltre 290 mila tonnellate di cibo a beneficio di oltre 8 milioni di persone e con un beneficio per le proprie esportazioni che ha superato i 360 milioni di dollari nel corso di questi tre anni. “La priorità di Kyiv è quella di porsi come un interlocutore per questi paesi. Nel Sahel, gli aiuti ucraini sono arrivati in quantità importanti per esempio in Ciad e proprio in Mauritania”, dice Del Re. Tuttavia, la Russia continua a primeggiare con le sue 40 sedi diplomatiche attive in Africa e offrendo aiuti militari e umanitari. Oltre alla cooperazione garantita dai mercenari degli Africa Corps ai golpisti del Sahel, ci sono le forniture di grano che sostengono la tenuta sociale di questi paesi poverissimi. Solo in Burkina Faso, nel 2023 Mosca ha garantito un flusso di oltre 50 mila tonnellate di grano, in forma gratuita.
Nel frattempo, sebbene il Sahel rappresenti la regione con il più alto tasso di vittime causate dal terrorismo islamico, l’occidente tentenna. “L’Europa non riesce a presentarsi come un interlocutore unitario – dice l’ex inviato speciale dell’Ue – e la chiusura delle ambasciate l’ha resa di fatto molto meno influente, fatto salvo per alcune eccezioni, come la Germania e in parte l’Italia, che ha mantenuto un piccolo contingente militare in Niger”. “La priorità dell’Unione europea resta focalizzata altrove e di fatto ha accettato questo status quo, in cui gruppi terroristici come Jamaʿat Nusrat al Islam wal muslimin (Jnim) collegati ad al Qaida e allo Stato islamico si dividono ormai enormi estensioni del territorio”, spiega Luca Raineri, ricercatore in Studi di sicurezza alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Finora, il terrorismo islamico originario del Sahel non ha mai colpito l’Europa ed evidentemente tanto basta a non preoccuparsene troppo”. Poi ci sono gli americani, che con l’Amministrazione Trump hanno lanciato segnali ancora tutti da decifrare circa il loro impegno nel Sahel. Lo scorso luglio, il consigliere della Casa Bianca per la sicurezza e il controterrorismo, Rudolph Atallah, ha fatto visita in Mali e ha sottoposto una “soluzione americana” contro i jihadisti. “Abbiamo l’equipaggiamento necessario, l’intelligence e le forze per fronteggiare questa minaccia. Se il Mali decide di lavorare con noi, sapremo cosa fare”. L’offerta di Washington ai golpisti è aiuto contro i jihadisti in cambio dello sfruttamento delle risorse di litio, e pazienza se le giunte militari stringono altri accordi analoghi con i mercenari russi. Una sorta di tacita tolleranza reciproca fra russi e americani nel Sahel dettata dal nuovo equilibrio della regione.
Mentre l’Europa si muove in ordine sparso e gli americani mantengono aperto il dialogo con gli alleati dei russi nel Sahel, gli ucraini hanno trovato qui un nuovo fronte per indebolire Mosca. Secondo Raineri però “gli episodi di cooperazione tra i servizi segreti ucraini e i ribelli tuareg, per quanto da segnalare per la loro valenza politica, non vanno nemmeno enfatizzati troppo da un punto di vista militare. Quando gli ucraini si sono esposti rivendicando il loro aiuto contro i mercenari russi, alcuni combattenti tuareg non hanno gradito del tutto perché hanno interpretato la mossa come un tentativo di prendersi il merito delle loro vittorie”. Se di vera alleanza militare non si può ancora parlare, alcune indiscrezioni di stampa hanno riportato anche la notizia dell’apertura di un dossier condiviso tra Francia e Ucraina nel Sahel, una sorta di appendice all’intesa che Emmanuel Macron e Volodymyr Zelensky hanno già dimostrato in questi anni sul fronte orientale dell’Europa. Lo stesso presidente ucraino da tempo non ne fa un mistero e lo scorso luglio ha chiarito l’agenda di Kyiv nel Sahel: “Vogliamo che il settore della Difesa ucraina lavori con l’Africa e che, in questo modo, attraverso la competizione e altre forme di pressione, possiamo cacciare l’influenza russa”. Per Zelensky, la sconfitta di Mosca passa anche dall’Africa.