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Editoriali

Show di forza a Belgrado

Redazione

La parata militare con diecimila soldati è servita al presidente Vucic per mostrare i muscoli con i manifestanti e con l’Ue e per sottolineare le garanzie politiche e militari che arrivano da Mosca e da Pechino

Da circa un anno le proteste contro la leadership della Serbia guidata dal nazionalista Aleksandar Vucic non si sono mai fermate. Erano cominciate dopo il crollo del tetto della stazione di Novi Sad, il primo novembre del 2024, costato la vita a sedici persone, ma poi lentamente sono diventate altro: la piazza che marcia sotto al simbolo di una mela marcia chiede trasparenza, responsabilità e riforme, e azioni contro la corruzione e contro l’inquietante fascinazione per gli autoritarismi del governo di Belgrado. Secondo molti osservatori, oggi i cortei hanno assunto dimensioni paragonabili a quelli che portarono alla caduta di Slobodan Milosevic. Anche se finora le periodiche manifestazioni sono state in gran parte pacifiche, la risposta del governo è stata repressiva: migliaia di raduni sono stati resi illegali, ci sono stati pestaggi, arresti, campagne diffamatorie sui media controllati dal potere, e Vucic definisce i manifestanti “terroristi” manovrati dall’estero.

 

Intanto rafforza il suo apparato: lo scorso fine settimana ha organizzato a Belgrado una parata militare con diecimila soldati, mostrando carri armati di fabbricazione russa e sistemi antiaerei di fabbricazione cinese. Uno show di forza che serve a sottolineare le garanzie politiche e militari che arrivano da Mosca e da Pechino. Non è un caso che il 3 settembre scorso è stato tra i pochissimi leader occidentali a partecipare alla parata del 3 settembre a Pechino, accanto a Xi Jinping. Oggi quella scelta si traduce in un capitale politico che Vucic usa per resistere alle pressioni interne ed esterne. L’Unione europea intanto osserva con preoccupazione, ma resta cauta. Bruxelles teme che un eccesso di critiche possa allontanare ancora di più Belgrado, anche se Vucic continua a dire che il processo di integrazione all’Ue è inarrestabile. Eppure un paio di settimane fa perfino Manfred Weber, capo del Partito popolare a cui il Partito progressista serbo di Vucic è associato, ha annunciato l’avvio di “un processo di scrutinio sul partito e l’appartenenza alla famiglia del Ppe”. Allontanare Belgrado da Bruxelles rischia di essere l’ennesima vittoria di Putin.

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