
Putin si prende gioco del mondo che lo esclude, con l'aiuto della Cina
Il meccanismo delle sanzioni internazionali sotto accusa. L'Unione europea inizia a pensare a sanzioni secondarie contro Cina, India e Turchia
Due giorni fa nel porto di Tieshan, nel sud-ovest della Cina, è attraccata una nave cisterna battente bandiera russa con un carico di 150 mila metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl). E’ il secondo carico che arriva in Cina dal progetto russo Arctic Lng 2, sotto sanzioni anche da parte dell’Unione europea sin dal giugno del 2024. Secondo un’analisi di Lloyd’s List il progetto artico russo resta in grosse difficoltà, non produce abbastanza e costa troppo, e le ultime due spedizioni sembrano servire a smaltire il gas già prodotto, ma sono anche il segnale di una cooperazione energetica che non si nasconde più, e non ha motivo di nascondersi. I carichi di Gnl trasferiti dalla Russia alla Cina arrivano a pochi giorni dall’incontro fra il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping a Pechino.
In quell’occasione i due hanno firmato anche l’ennesima intesa sul gasdotto Sila Sibiri 2 (in inglese Power of Siberia 2), che consentirà alla compagnia russa Gazprom di trasportare circa 50 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno alla Cina attraverso la Mongolia. Se ne parla da tempo, finora Xi non aveva dato il via libera ai veri negoziati sul progetto, ma ora i segnali sembrano sempre più chiari: i veri colloqui fra Mosca e Pechino “ruotano attorno a quattro punti chiave – prezzo, obblighi di acquisto, finanziamenti e tempistiche – su cui Pechino ha il vantaggio”, ha scritto sul Financial Times Tatiana Mitrova. La Cina vuole gas a bassissimo prezzo, che cambierà il mercato, rafforzando la propria sicurezza energetica e legandola alla Russia di Putin. Secondo diversi media, Pechino sarebbe pronta anche a riaprire il suo mercato obbligazionario alle aziende energetiche russe, permettendo loro di emettere Panda bond in renminbi. Secondo gli analisti, l’accelerazione degli ultimi giorni significa soprattutto una cosa: la leadership cinese non teme più le sanzioni secondarie. Il ministero degli Esteri cinese, attraverso il suo portavoce Guo Jiakun, ha già fatto sapere che non c’è niente di controverso nel rafforzamento della cooperazione economica fra i due paesi. Ma nel frattempo il messaggio è cristallino, e arriva in contemporanea con la richiesta del presidente americano Donald Trump agli europei di fare di più per impedire che altri paesi, tra cui la Cina e l’India, finanzino la macchina della guerra di Putin.
E’ per questo che da parte dell’Unione europea, secondo una fonte diplomatica del Foglio a conoscenza dei colloqui fra Bruxelles e Washington sul tema, si sta trattando per un cambio di passo: “Non solo nuove sanzioni ma contrasto forte alla loro elusione perché Mosca, con il sostegno di diversi paesi, è sempre più in grado di attenuarne l’impatto”. Se ne discute da tempo, dell’inefficacia delle sanzioni economiche, anche su altri paesi come l’Iran e la Corea del nord: grazie alle alleanze degli autocrati, a ogni pacchetto di sanzioni i paesi colpiti sanno come adattarsi, trasformarsi, senza temere reazioni elettorali, anche se quasi sempre le misure economiche colpiscono i cittadini più che i regimi. Nel caso della Russia la questione è ancora più complicata: finora le sanzioni economiche occidentali sono state imposte in modo mirato, ma senza una piattaforma di monitoraggio della loro elusione, sul modello dei Panel of Experts delle Nazioni Unite o del neonato Multilateral Sanctions Monitoring Team per l’elusione delle sanzioni da parte di Pyongyang. Sul tavolo c’è per esempio la possibilità di imporre misure contro l’India, che compra grandi quantità di petrolio russo ma su cui grava l’ostacolo del trattato di libero scambio con Bruxelles da finalizzare: il commissario europeo per il Commercio Maros Sefcovic e il commissario per l’Agricoltura Christophe Hansen saranno a Delhi questa settimana per condurre dei negoziati con il governo di Narendra Modi, ed è molto probabile che il tema russo verrà sollevato. Nell’elenco dei paesi potenzialmente a rischio sanzioni ci sarebbe poi la Turchia, per il suo accesso a componenti critici nel settore della Difesa. E poi naturalmente la Cina, il cui esempio più concreto riguarda non soltanto il settore energetico, ma anche il sostegno a eludere formalmente le sanzioni nel settore finanziario attraverso lo sviluppo di un sistema comune di pagamenti. L’esistenza del progetto l’ha confermata Putin stesso una settimana fa: “Il sistema di pagamento richiede ulteriori miglioramenti. Stiamo lavorando duramente su questo, le istituzioni finanziarie stanno lavorando, al massimo livello e su base commerciale”.