
Militari egiziani schierati a el Arish, in Sinai (foto Getty)
l'energia in gioco
L'avanzata su Gaza mette a rischio il nuovo mega accordo sul gas tra Israele ed Egitto
Sisi manda migliaia di militari sul Sinai preoccupato dal flusso di palestinesi dalla Striscia e Netanyahu usa il contratto del Leviatano appena firmato e da 35 miliardi di dollari come leva per costringere il Cairo a ripensarci
Appena un mese fa, Israele ed Egitto avevano annunciato un gigantesco accordo sul gas per lo sfruttamento offshore del bacino del Leviatano. Sulla carta, questo ampliamento dell’intesa già esistente, firmata nel 2019, dovrebbe essere il più grande accordo sul gas siglato nella storia dello stato ebraico. Eppure, a poche settimane di distanza, ecco che il Leviatano è già diventato un’arma politica per costringere l’Egitto a smilitarizzare il Sinai, al confine con Gaza. Il contratto siglato il 7 agosto scorso vale 35 miliardi di dollari e prevede la fornitura al Cairo di 130 miliardi di metri cubi di gas a partire dalla metà del 2026. Il bacino è gestito dall’americana Chevron, che controlla il 39,66 per cento delle quote, e dalla joint venture NewMed Energy, che ne detiene il 45,34 per cento. L’annuncio dell’accordo tra Israele ed Egitto aveva sorpreso molti osservatori, perché è arrivato alla vigilia delle operazioni nella Striscia di Gaza da parte dello stato ebraico, un piano molto contestato, e temuto, dagli egiziani. Il presidente Abdel Fattah al Sisi rifiuta da sempre qualsiasi idea di smantellamento della Striscia da parte di israeliani e americani, preoccupato dallo sconfinamento dei palestinesi dal valico di Rafah al Sinai. “L’Egitto ribadisce che non sarà mai complice di questa ingiustizia, che liquiderebbe la causa palestinese e che diventerebbe una porta d’accesso per gli sfollati”, ha ripetuto un comunicato del ministero degli Esteri del Cairo la settimana scorsa.
Secondo gli israeliani, al Sisi sta violando l’accordo di Camp David del 1979, che vieta all’Egitto di mobilitare le sue Forze armate nel Sinai smilitarizzato. Il giornale panarabo al Arabi al Jadeed ha scritto la settimana scorsa che gli egiziani hanno inviato circa 40 mila uomini nel nord della penisola, oltre ad accumulare sistemi difensivi a ridosso del confine con Gaza, lungo il cosiddetto “corridoio Filadelfia”. Per questo motivo, i media israeliani hanno rilanciato l’indiscrezione sulla volontà del premier Benjamin Netanyahu di congelare l’accordo sul gas, allo scopo di mettere pressione al Cairo e convincerlo a ritirare i suoi uomini. Ad aggravare la tensione fra i due paesi c’è che nessuno dal governo israeliano si è preoccupato di smentire queste speculazioni, cosa che invece hanno fatto le autorità egiziane, agitate da queste minacce. “Sono degli illusi”, ha detto giovedì in televisione Diaa Rashwan, capo del Servizio di informazione dello stato, l’organo di comunicazione ufficiale del regime di al Sisi. “L’amministrazione egiziana ha alternative per qualsiasi cosa dovesse accadere. Netanyahu sta cercando di esportare una crisi in Egitto”. Rashwan ha sfidato Israele: “Netanyahu non sarebbe in grado di fare fronte alle conseguenze economiche e politiche” di una eventuale cancellazione dell’accordo sul gas.
Le minacce e le controminacce che arrivano dai due fronti opposti vanno però ricalibrate. L’ultima parola sulle sorti dell’accordo, sul lato israeliano, spetta al ministro per l’Energia, Eli Cohen, anche lui rimasto in silenzio finora su cosa fare dell’intesa con l’Egitto. D’altra parte, il Cairo afferma di potere fare a meno del Leviatano e di essere in grado di sopperire alle forniture grazie al gas liquefatto. Nel Mar Rosso sono già operative tre navi di stoccaggio e rigassificazione presso Ain Sukhna, con una capacità complessiva di 2,25 miliardi di metri cubi di gas. Una fonte egiziana sentita dal Mees, un portale di informazione mediorientale specializzato nel settore energetico, ha detto che “se i prezzi del gas liquefatto dovessero scendere raggiungendo i prezzi del gas israeliano si potrebbe assistere potenzialmente a una situazione capovolta, in cui sarebbe l’Egitto a dire a Netanyahu di non avere più bisogno del suo gas”. Basta però guardare il livello attuale dei prezzi per capire che si tratta di una situazione ancora lontana e del tutto ipotetica. Il gas liquefatto è molto caro e si attesta per ora tra i 12 e i 13 dollari per standard metro cubo (Smc), mentre il prezzo delle forniture israeliane è molto più conveniente per gli egiziani, fermo a 6 dollari per Smc.
Ci sono poi le enormi difficoltà energetiche dell’Egitto, che in pochi anni si è trasformato da paese esportatore di gas a grande importatore. Una situazione tanto complicata da convincere al Sisi a mettere da parte gli attriti con gli israeliani sulla guerra a Gaza e a concludere l’accordo di agosto. La domanda di gas in crescita costante è andata di pari passo con l’obsolescenza dei giacimenti egiziani e così, alla fine del mese scorso, il ministero del Petrolio ha siglato quattro accordi da 340 milioni di dollari per nuove esplorazioni di gas nel Delta del Nilo. Tra le aziende coinvolte, oltre all’olandese Shell e alla joint venture Arcius Energy, c’è l’italiana Eni che ha firmato un’intesa per nuove esplorazioni da 100 milioni di dollari al largo di Port Said. E’ probabile che proprio le compagnie private coinvolte nel Leviatano, Chevron in primis, siano piuttosto innervosite per il potenziale stop all’accordo con l’Egitto. A giugno, durante la guerra dei 12 giorni tra Israele e Iran, gli americani furono costretti a chiudere le procedure di estrazione dal bacino per una decina di giorni per motivi di sicurezza. Un nuovo blocco, magari di lungo periodo, avrebbe un impatto disastroso anche per la Giordania, altra beneficiaria del gas israeliano. Forse proprio per tentare di placare subito gli animi, il giorno dopo le prime indiscrezioni sul rischio di cancellazione dell’accordo il ministro israeliano Cohen ha annunciato l’avvio della costruzione del gasdotto Nitzana, che dovrebbe collegare il Leviatano all’Egitto attraverso il Sinai. Ma il futuro resta incerto e dal piano israeliano per annettere Gaza dipenderà una fetta sostanziale dell’equilibrio della regione.