Dopo la parata a Pechino, Kim Jong Un torna a Pyongyang riabilitato e protetto

Giulia Pompili

 Il banchetto con Xi Jinping è il segnale di un rapporto privilegiato con la Cina, oltre che con la Russia. Le conseguenze

Il giorno dopo la gigantesca parata militare a Pechino per commemorare la fine della Seconda guerra mondiale, il leader cinese Xi Jinping ha invitato il dittatore nordcoreano Kim Jong Un per un banchetto nella Grande sala del popolo. Prima c’era stato un bilaterale, durato  poco più di un’ora, ma è stata soprattutto la cena ad aver acceso l’attenzione dei media internazionali, perché quel genere di gentilezze, nel cerimoniale diplomatico, trasformano una visita utilitaristica – finalizzata cioè alla presenza alla parata – in una visita di stato. La Corea del nord è ufficialmente tornata a essere un paese non isolato, e anzi protetto.

 

Protetto da due dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che finora è stata la piattaforma più importante delle sanzioni economiche contro il regime di Pyongyang. Ieri il presidente americano Donald Trump ha detto di aver visto la “magnifica parata” cinese, ha detto che il suo rapporto con i tre leader “è ottimo”, ma anche che scopriremo “quanto è ottimo nel corso delle prossime due settimane”.

 

Bisogna tornare indietro di sessantasei anni per ritrovare l’immagine di un leader cinese al fianco degli omologhi russi e nordcoreani. Era il 1° ottobre del 1959, e per la parata militare dell’anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese, Mao Zedong aveva invitato il primo segretario del Partito comunista sovietico Nikita Krusciov, che era stato posizionato alla sua sinistra sul palco di Piazza Tiananmen. Alla sua destra, invece, c’erano il presidente vietnamita Ho Chi Minh, il ministro degli Esteri sovietico Mikhail Suslov, il premier cinese Zhou Enlai e infine il leader nordcoreano Kim Il Sung, il padre della patria e nonno dell’attuale leader Kim Jong Un. Poi c’era stato lo split sino-sovietico, la morte di Ho Chi Minh, le fasi più cupe della Guerra fredda. Oggi, con l’avvicinarsi della politica dei blocchi, Kim Jong Un ritrova la sua centralità: “Apparendo insieme” nelle fotografie del tre settembre, “il triumvirato ha dato l’illusione di guidare le tre nazioni più potenti della Terra”, ha scritto Katsuji Nakazawa sul Nikkei. “La visita di Kim in Cina è stata la sua prima in sei anni e mezzo” – l’ultima volta che Kim Jong Un e Xi Jinping si sono visti è stato durante la visita di stato del leader cinese in Corea del nord nel 2019 – ma la sua partecipazione alla parata militare, “insieme con i leader di oltre venti paesi, ha segnato anche il suo debutto diplomatico multilaterale”. Fino a qualche anno fa, prima della pandemia e del coinvolgimento della Corea del nord nella guerra d’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Kim era considerato la spina nel fianco della Cina, l’imprevedibile leader troppo vicino ai confini della Repubblica popolare. Si diceva che i leader cinesi non tollerassero le intemperanze dei dittatori nordcoreani, il loro giocare sporco usando alternativamente i favori di Mosca e Pechino. L’attentato all’allora leader Kim Jong Il nell’aprile del 2004, quando la stazione ferroviaria di Ryongchon saltò in aria poco dopo il passaggio del treno con lui a bordo, secondo diverse fonti fu orchestrato dalla Cina – proprio da lì stava tornando Kim Jong Il. Con suo figlio le relazioni non erano migliori: per anni la Cina ha tenuto nascosto e sotto protezione Kim Jong Nam, il fratellastro di Kim Jong Un, si dice per avere una carta in mano in caso di necessità di “sostituire” il leader. Nel 2017 Pechino, insieme con Mosca, aveva addirittura approvato alcune fondamentali sanzioni economiche al Consiglio di sicurezza contro Pyongyang. Quando Kim Jong Un ha dato il via libera all’invio di truppe in sostegno della guerra di Putin, qualcuno suggeriva la possibilità di un ulteriore passo di allontanamento di Pechino da Pyongyang. Tutte queste ipotesi sono state smentite ieri. Durante il loro bilaterale, Kim ha ringraziato Xi per il “sostegno costante e incondizionato della Cina alla causa socialista della Corea del nord e per la sua preziosa assistenza”. Secondo un’analisi del National intelligence service, l’agenzia d’intelligence di Seul, circolata ieri sui giornali sudcoreani, la leadership nordcoreana sarebbe andata a Pechino a chiedere assistenza economica alla Cina nel caso in cui le transazioni economiche con la Russia dovessero terminare in conseguenza a un eventuale cessate il fuoco. Oltre a Xi, Kim Jong Un a Pechino ha incontrato diversi leader, in un contesto in cui si è trovato di rado, ed è sembrato con tutti molto cordiale e a suo agio – ha anche invitato il dittatore bielorusso Lukashenka a Pyongyang – tranne che con Woo Won-shik, presidente dell’Assemblea nazionale sudcoreana, con cui ha scambiato solo una stretta di mano. Il dittatore si è presentato a Pechino indossando un orologio da polso IWC Portofino, accompagnato dalla figlia Kim Ju Ae, dalla potente sorella Kim Yo Jong oltre che dallo staff del regime in cui è centrale anche la figura della ministra degli Esteri, Choe Son Hui. La presenza sempre più frequente agli eventi ufficiali della figlia dodicenne e della sorella indica che Kim starebbe addestrando un successore della dinastia Kim, anche se sembra ancora difficile la possibilità che sia una donna a prendere le redini della dittatura. In ogni caso, il regime è lì per restare.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.