Trump e la cospirazione della triade Putin, Xi e Kim Jong Un

Micol Flammini

Il capo del Cremlino parla con il leader cinese di immortalità, mentre si tiene buono il vecchio e utile capo della Casa Bianca

L’eterna scissione della Russia fra Europa e Asia sembra essersi risolta questa settimana, durante le visite di Vladimir Putin fra il vertice della Sco, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, a Tianjin, e la parata per gli ottanta anni dalla fine della Seconda guerra mondiale organizzata in Piazza Tiananmen dal leader cinese Xi Jinping. Putin ha spostato Mosca  verso l’Asia. Non perde occasione per sottolineare come Russia e Cina siano nazioni vicine e confinanti, legate da interessi in comune. In questi cinque giorni è passato da una stanza all’altra dei palazzi del potere cinese, ha passeggiato  al fianco di Xi Jinping con i due interpreti inseparabili dai due leader, tanto da sembrare due ombre. Si è chiuso per un lungo bilaterale con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un, durato oltre due ore. I due hanno discusso del trattato che prevede l’assistenza militare reciproca e forse anche di un ulteriore impegno dei soldati nordcoreani al fianco dell’esercito russo. Putin e Kim hanno percorso un tratto di strada insieme a bordo dell’Aurus del capo del Cremlino, in cui qualche giorno prima era stato seduto anche il premier indiano Narendra Modi – alcuni commentatori facevano notare come l’automobile di Putin fosse l’unico posto in cui il capo del Cremlino potesse essere sicuro di parlare senza essere ascoltato dai cinesi. 


Sono stati tanti i leader che Putin ha incontrato, ma la triade del potere che ha sfilato compatta, in prima fila, con gli altri capi di stato e di governo a debita distanza era costituita da Putin, Xi Jinping e Kim Jong Un, seguiti dal   codazzo degli altri, che non parlavano tra di loro né con i tre capi branco. Tra loro c’era anche il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka, il primo degli alleati del capo del Cremlino, che ha messo la sua nazione a disposizione dell’esercito russo, e ieri, mentre si dirigeva verso gli spalti allestiti a Piazza Tiananmen procedeva affaticato, asciugandosi ripetutamente la fronte madida di sudore. 


Il messaggio di unità, di una falange compatta per disfare l’ordine mondiale è arrivato a Washington. Il presidente americano Donald Trump ha scritto un messaggio di auguri sulla sua  piattaforma Truth, rimarcando il sacrificio americano per la vittoria cinese e concludendo: “Portate i miei più cari saluti a Vladimir Putin e Kim Jong Un, mentre cospirate contro gli Stati Uniti”. Il post di Trump è suonato più come un’offesa personale, da parte di un leader escluso infastidito dai  capi di nazioni potenti   riuniti insieme e non  come la presa di coscienza del capo di una nazione alla guida di un sistema di valori contrapposto a quello esaltato in questi giorni in Cina. Trump ha lavorato per creare divisioni con i suoi alleati occidentali, i dazi, gli annunci sulla Nato, tutto ha contribuito a mandare il segnale di un occidente frammentato. Ha creato spaccature dove non c’erano e se ne è vantato. Dal dispiegamento diplomatico e militare in Cina si è visto rispondere che invece il mondo che si offre come alternativa all’America si sa unire, si autocelebra, poco importa se la maggior parte degli incontri si è dimostrata priva di sostanza, tutti fra Tianjin e Pechino concordavano che l’essenziale fosse tutto nell’immagine. Putin ha risposto personalmente alle accuse di cospirazione da parte di Trump. Ha assicurato che nessuno ha usato parole negative nei confronti del presidente americano, né in contesti formali né informali: “Tutti sperano che la posizione del presidente Trump porti alla fine del conflitto”. Putin deve tenere il capo della Casa Bianca attaccato a un negoziato improbabile.  Ha ricordato l’importanza del vertice  in Alaska, un altro contesto senza risultati concreti ma dove  a contare è stata l’immagine del capo del Cremlino  sul suolo americano.  


Martedì, quando in Italia era già sera e in Cina era prima dell’alba, Donald Trump è andato davanti alle telecamere per fare un annuncio. Ha comunicato la sua decisione di spostare il Comando spaziale dal Colorado all’Alabama, nella città di Huntsville che sarà ribattezzata Rocket City. Erano giorni che Trump non si faceva vedere e  non parlava con i giornalisti. L’annuncio è stato molto seguito non tanto per il contenuto, l’assenza di Trump aveva generato una sequela di sospetti sul suo stato di salute, incrementati da alcune immagini rubate negli ultimi giorni in cui il presidente appariva più vecchio, più impacciato. In una delle sue ultime apparizioni in pubblico, i giornalisti avevano notato un grande livido sulla mano destra e la stessa ossessione per la vecchiaia  che aveva travolto Joe Biden si è riproposta per le vicissitudini sanitarie del settantanovenne Trump. Qualche ora dopo, i tre capi della falange diretta a Tiananmen sono stati  filmati mentre con disinvoltura  salivano scale e percorrevano tappeti rossi, discutendo del mito dell’immortalità. Xi: “In passato le persone raramente arrivavano a settanta anni, oggi a settanta anni sei ancora un bambino”. Putin: “Con lo sviluppo delle biotecnologie sarà possibile trapiantare continuamente organi umani e le persone potranno vivere sempre più a lungo e persino raggiungere l’immortalità”. Xi: “Secondo le previsioni, in questo secolo si potrà vivere fino a 150 anni”. Sia Putin sia Xi hanno settantadue anni, il primo è al potere da venticinque, il secondo da tredici.      

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)