
(LaPresse)
L'editoriale dell'elefantino
Davanti a noi un oriente rosso imperiale e ipercapitalistico con la K di Kommunismus
Gli esperti di geopolitica diranno che non è tutto giallo né pericoloso quel che luccica. E invece i cinesi hanno buttato il Libretto e tenuto la copertina di plastica, buona come portafogli e utile a molto altro
Qui da noi in occidente non si fa che sbagliare e non si riesce nemmeno, come voleva Samuel Beckett, a sbagliare meglio, fallire meglio. Abbiamo visto la crisi delle democrazie nelle ondate elettorali e culturali populiste, nella piaga indecente dell’immigrazione e del contrasto all’immigrazione illegale e fuori controllo, nella crisi dei partiti, delle istituzioni e della divisione dei poteri, con il populismo penale all’arrembaggio dovunque (se ne accorgono anche Pedro e Begoña Sánchez), nel declino demografico, nelle dipendenze digitali, nel cattivo uso delle tecnologie, nella welfarista dissoluzione di famiglia scuola e costumi, nella caduta verticale del linguaggio, nella prostrazione di molti settori dell’economia non finanziaria eccetera.
Ci piaceva pensare che la questione fosse parte degli interna corporis dell’occidente. Ora si constata come il mondo appartiene in gran parte alle autocrazie extraoccidentali, ai loro eserciti, alla loro iattanza e sfacciataggine, alla loro alleanza con il cosiddetto Grande sud. Si vede che il vecchio e inservibile concetto propagandistico di “pericolo giallo”, la sinofobia d’antan, quella dei cinegiornali fine anni Cinquanta primi Sessanta, assume in parata la veste del nuovo Mao, vestito come lui davanti al suo ritratto. Si vede che siamo di fronte alla pretesa di un nuovo ordine mondiale riscritto da regimi a partito unico, un ordine potenzialmente fondato su un sistema di alleanze e cooperazione costruito pezzo a pezzo da un fatale e banale istrione, un loser, insediato nell’età dell’oro alla Casa Bianca, colluso con il winner del Cremlino, il Mago: un oriente rosso imperiale e ipercapitalistico con la K di Kommunismus, un subcontinente eurosiberiano neoimperiale e rétro come si addice agli europei (la Russia di Putin) e il terzo un buffo ma minaccioso rimescolio dei due (Kim). Lo so, gli esperti di geopolitica ora diranno che non è tutto giallo né pericoloso quel che luccica. Sono più divisi di quanto appaia, India e Turchia sono state spinte tra le loro braccia, ma nessuna alleanza mondiale è destinata a reggere senza Stati Uniti e Europa, anche se si fanno avanti di brutto i nemici giurati del nostro modo di vita, capaci di imitarlo nei suoi aspetti viziosi o utilitaristici a patto di non cedere al suo senso più profondo, la democrazia liberale appunto. Si può sbagliare meglio, ma anche peggio.
Si può sottovalutare il mostriciattolo multiforme dei rinascimenti, e del rinascimento dei rinascimenti che è quello cinese, si possono dosare e attutire risentimento e paura. Cospirano contro di noi, come dice il narciso arancione, ma devono mangiarne di biada prima di terminare la loro corsa. Noi abbiamo il tech, l’individualismo, il sogno libertario, un mercato gigantesco e la tendenza globalizzante con cui chiunque deve fare i conti, siamo corrotti e corruttori, il nostro veleno è forte e disintegrante di cellule troppo chiuse, troppo rigide. Alla fine non è detto che non si ripresenti la tragedia del Grande balzo in avanti, della Rivoluzione culturale, con tutte quelle maiuscole rivelatesi minuscole fino alla svolta di Deng Xiaoping. Ma alla fine la svolta ci fu, la crescita bestiale pure, la crescita politico-militare è squadernata sotto i nostri occhi, e il partito unico o le autocrazie neozariste sono lì, blindate a ogni sussulto del falso maoismo libertario dell’intelligenza eurodemente degli anni Settanta: ribellarsi è giusto, si diceva con il Libretto rosso, la Cina non ce la farà a mantenere il sistema politico nel cambiamento del sistema economico e sociale, e invece. Aveva ragione Goffredo Parise: i cinesi hanno buttato il Libretto e tenuto la copertina di plastica, buona come portafogli e utile a molto altro.