(foto Epa)

La parata di Xi Jinping che manipola la Storia

Giulia Pompili

Il leader cinese vuole legittimare il Partito definendo indispensabile il suo contributo alla fine della Seconda guerra mondiale. Ad assistere Putin e Kim Jong Un, e parte del resto del mondo (alcuni paesi Nato compresi) 

Alla stazione ferroviaria di Pechino, ieri, c’erano le più alte cariche del Partito comunista cinese: il segretario generale del comitato centrale Cai Qi, braccio destro del leader Xi Jinping, e il ministro degli Esteri Wang Yi insieme con il sindaco della capitale, Yin Yong, e una coda di alti papaveri del Zhongnanhai. Erano tutti lì ad aspettare il treno blindato del leader nordcoreano Kim Jong Un, che è arrivato per la prima volta con la figlia Ju-ae, presunta erede designata della dittatura di Pyongyang. Poche ore prima, Kim aveva ispezionato una fabbrica che produce il nuovo missile balistico intercontinentale Hwasong-20, che può montare testate nucleari, cancellando con una foto la minaccia dell’occidente che aspira ancora a un dialogo per la denuclearizzazione. Con l’accoglienza dei leader del Partito comunista a Pechino, Kim ha anche cancellato un altro pregiudizio occidentale: quello che vorrebbe la Corea del nord sempre più distante dalla Cina perché più vicina alla Russia di Vladimir Putin

 


Le relazioni fra i tre paesi sono complesse, certo, ma restano granitiche, e al centro di questa relazione resta la capacità diplomatica del leader cinese Xi Jinping. Oggi, la parata militare di Pechino per celebrare l’80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e quella che viene definita dalla propaganda “la guerra mondiale antifascista” e “la vittoria contro l’invasore giapponese”, è un successo di strategia personale di Xi, che rimarrà nella storia della Repubblica popolare cinese. 

 

Dieci anni fa fu Xi Jinping a volere una parata militare non soltanto per gli anniversari del 1° ottobre, la festa nazionale, ma anche per il 3 settembre, il giorno della Vittoria. Rispetto alla parata di dieci anni fa, quella di oggi è stata più grande, più sfarzosa, uno show di forza a cui hanno assistito tutti gli amici della Cina: da Putin a Kim Jong Un, dal presidente iraniano Masoud Pezeshkian al presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenka, e poi molti rappresentanti di governi asiatici come il capo della giunta militare birmana Min Aung Hlaing, quattro dall’Africa, ma molti anche dall’Europa: il primo ministro slovacco Robert Fico, il viceprimo ministro bulgaro Atanas Zafirov, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó (tutti e tre paesi Nato), e poi il presidente serbo Aleksandar Vucic, che non ha mai nascosto le sue simpatie per la Cina. In rappresentanza dell’Italia è volato a Pechino l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Ma la parata è stata più di una dimostrazione di forza, di modernizzazione degli armamenti con alcuni dettagli mai svelati finora al pubblico. 

 


Perché da giorni i rappresentanti della leadership cinese si sforzano per diffondere la ricostruzione della storia secondo il Partito. Anche l’ambasciatore cinese in Italia, Jia Guide, ha scritto su una rivista chiamata Scenari Internazionali un articolo in cui sottolinea l’epica della “guerra di resistenza popolare cinese”: “Il Partito comunista cinese combatté coraggiosamente in prima linea, guidando il corso della resistenza cinese e diventando la spina dorsale della resistenza della nazione. Dopo 14 anni di battaglie ardue e sanguinose, al costo di oltre 35 milioni di vittime militari e civili, il popolo cinese compone una magnifica epopea di lotta per la sopravvivenza nazionale, il ringiovanimento nazionale e la giustizia umana, dando un contributo significativo alla vittoria nella Guerra Mondiale Antifascista”. “L’aspetto fondamentale della parata”, dice al Foglio la sinologa Marina Rudyak dell’Università di Heidelberg, “è che con Xi Jinping la storia è diventata una parte della legittimazione del Partito”. L’occidente ha trascurato a lungo, non solo nelle celebrazioni,  l’idea stessa che una parte della Seconda guerra mondiale si sia combattuta in Asia orientale, e la Cina “ora vuole dire al mondo che il paese, insieme alla Russia, ha sacrificato più dell’occidente per combattere il fascismo”. Il contributo cinese non è “storicamente scorretto”, dice  Rudyak, ma viene interpretato da un lato per sostenere la memoria nella propaganda interna, dall’altro per legittimare delle mire, per esempio, su Taiwan, ignorando completamente che a combattere, all’epoca, c’era sì una parte di comunisti, ma soprattutto i soldati di quella che formalmente era la Repubblica di Cina, guidati da Chiang Kai-shek – in una verità storica da decenni annacquata e sovrapposta alla guerra civile cinese. Non è del tutto un revisionismo, simile a quello che Putin ha applicato nelle sue rivendicazioni sull’Ucraina, ma piuttosto una manipolazione della storia piegata all’epica del Partito comunista cinese, in un momento in cui Pechino sta puntando molto sul convincimento, con tattiche ibride e propagandistiche, che un’annessione politica di Taiwan eviterebbe la guerra. Non è un caso se alla parata di Xi ha assistito, tra molte polemiche, anche Hung Hsiu-chu, ex presidentessa del partito nazionalista Kuomintang, formazione che oggi promuove una relazione più vicina a Pechino. Hung ha detto che sente la responsabilità di ricordare una guerra che Partito comunista e nazionalista hanno combattuto insieme.  Allo stesso tempo, spiega  Rudyak, il fraintendimento occidentale riguarda l’aspettarsi un impatto concreto da questo tipo di diplomazia cinese: “Come i Brics, anche lo scopo della Sco è continuare a vedersi, dialogare. E’ una capacità personale di Xi Jinping, quella di poter mettere il resto del mondo insieme e dire: l’occidente non sta governando più, è in declino e Trump non può essere preso sul serio.  Ciò che dovremmo chiederci è: perché Xi è così convincente”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.