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I confini che l'euro-Kyiv ha già vinto

La vittoria politica dell'Europa e di Kyiv non si misura in metri quadri

Claudio Cerasa

Sul campo o con una dolorosa trattativa, la Russia avrà guadagnato parti di territorio. Ma l’esercito ucraino rimarrà come l’embrione della difesa europea. Putin non ha diviso l’Europa, le ha dato unità

Qual è il confine sottile tra una vittoria e una sconfitta? Se scegliamo di ragionare sul destino dell’Ucraina concentrandoci sui singoli metri quadrati, ovvero sulla porzione di territorio perso o riconquistato in questi tre anni e mezzo di guerra feroce, negare l’evidenza è difficile e per quanto possano essere fruttuosi per l’occidente i colloqui di pace iniziati sabato scorso in Alaska, se così possiamo chiamarli, i numeri non mentono: la Russia sta vincendo la guerra, quella sul campo, e per quanto la controffensiva ucraina abbia permesso di recuperare il 50 per cento di quel che inizialmente aveva conquistato Putin, la Russia rispetto al febbraio 2022 ha in mano il 19 per cento dell’Ucraina.

  

Se scegliamo però di ragionare su un’unità di misura diversa, e più importante forse del calcolo dei metri quadrati, ovvero i risultati raggiunti dall’Ucraina e dall’occidente nella difesa da Putin, negare l’evidenza anche qui è difficile, e su questo fronte non bisogna attendere l’esito delle trattative di pace, per così dire, per sostenere che l’Ucraina, questa guerra, l’ha già vinta. L’esito del negoziato, appena accennato, tra Putin, Trump e Zelensky, che ieri ha incontrato il presidente americano, è difficile da immaginare, anche se non è difficile immaginare che qualsiasi negoziato veloce rischia di essere un dramma per l’Ucraina, e per chi l’ha difesa in questi tre anni. Ma al di là dell’esito del negoziato, c’è una verità che si può già mettere a fuoco: ciò che la difesa dell’Ucraina ha prodotto. L’Ucraina, alla fine del conflitto, perderà qualcosa. Ma l’Ucraina, alla fine del conflitto, potrebbe essere più forte di prima. E lo stesso vale per l’occidente. L’esercito ucraino rimarrà lì e resterà il primo vero embrione di esercito europeo. Il percorso di avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea renderà ancora più coincidenti i confini dell’Ucraina con quelli delle democrazie. E attraverso la difesa dell’Ucraina l’occidente ha mostrato anche a sé stesso di non essere quel ventre molle che Putin pensava che fosse quando ha tentato, tre anni e mezzo fa, di arrivare fino alle porte di Kyiv.

 

L’Europa, con tutti i suoi limiti, ha rotto molti tabù, ha trovato una unità sperata, come dimostrato ieri a Washington, ha finanziato la difesa dell’Ucraina più degli Stati Uniti d’America, ha riallineato almeno in parte il suo percorso con quello del Regno Unito, ha scelto di emanciparsi definitivamente dalla mammella energetica russa, ha messo a terra ventidue pacchetti di sanzioni contro la Russia votati all’unanimità che per stessa ammissione di Putin stanno facendo male alla Russia più di molti altri, ha iniziato ad alzare le antenne contro la minaccia russa su ogni fronte, da quello cyber a quello militare, ha scelto di investire sulla sua sicurezza, ha fatto un passo in avanti per rafforzare la Nato, impegnandosi a spendere di più, ha promesso, o almeno lo hanno fatto alcuni paesi come la Germania, di essere pronti ad acquistare dagli Stati Uniti quelle armi che Washington non intende più fornire direttamente a Kyiv, e oggi l’Europa si ritrova nella condizione di poter giocare un ruolo decisivo nella difesa di Kyiv, se l’Europa punterà a diventare un polo nella Nato, pronto cioè a muoversi per difendere i suoi interessi strategici costruendo assi ancora più robusti con i paesi democratici che hanno a cuore come l’Europa la difesa delle democrazie, paesi come Canada, Australia, Giappone, Corea del Sud, e a prescindere dalla presenza o meno dell’ombrello degli Stati Uniti, anche se ovviamente un’Ucraina difesa solo dagli europei sarebbe un’Ucraina difesa con una mano legata dietro la schiena.

 

Territori a parte, che sono ovviamente importanti, le possibilità di identificare una vittoria dell’Ucraina e dell’Europa nella guerra contro Putin ci sono, e sono molte, e se si ragiona sulla prospettiva iniziale adottata da Putin, colpire l’Ucraina per conquistarla in un lampo puntando sulle divisioni dell’Unione europea e sulla debolezza della Nato, si può dire che i risultati ottenuti sono stati l’opposto: Putin non ha diviso l’Europa, non ha reso l’Ucraina isolata, e piuttosto che evitare un allargamento della Nato lo ha favorito, grazie all’ingresso nell’Alleanza di Finlandia e Svezia. Anche se l’Ucraina non recuperasse tutto quello che ha perso, la sua resistenza eroica ha prodotto risultati enormi che non riguardano solo l’Ucraina ma riguardano tutti i paesi che hanno a cuore la difesa della democrazia. Ha dato tempo all’occidente di riarmarsi, di ricostruire le catene di approvvigionamento, di mettere a fuoco la vulnerabilità della Russia, di allontanare Putin dal medio oriente, di indebolire l’asse del male che parte da Mosca e arriva fino a Teheran. Le trattative di pace saranno difficili, dolorose e forse drammatiche e il confine tra resa e pace è sottile (se è vero quello che Trump ha fatto sapere in questi giorni, ovvero che Putin avrebbe accettato che qualsiasi pace dovrebbe includere la presenza di truppe occidentali in Ucraina come modo di garantirne la durata, dando dunque un ok di massima al lodo italiano di cui il Foglio ha parlato venerdì scorso, un accordo tra volenterosi modello articolo 5 della Nato ma senza il coinvolgimento della Nato, sarebbe una buona notizia). Ma al netto di quello che uscirà fuori dal cilindro di Trump e di Putin una certezza c’è: una guerra l’Ucraina l’ha già vinta. L’altra poi si vedrà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.