Muro della memoria dei difensori ucraini caduti nel conflitto dell'Ucraina orientale, vicino alla cattedrale di San Michele a Kyiv (foto ANSA)

dove è sepolta la fiducia

Ilovaisk e altri inganni. Le promesse di Putin all'Ucraina sono condanne

Micol Flammini

L’imboscata nella cittadina che si trova nell’oblast di Donetsk, la diga di Tuzla. I tradimenti che hanno insegnato a Kyiv a non fidarsi

Era agosto di undici anni fa, quando l’Ucraina capì il valore di una promessa russa. Lo capì con dei numeri precisi: trecentosessantasei morti, quattrocentoventinove feriti, centocinquantotto dispersi, trecento catturati. Sono le cifre di una tragedia e della fine dell’ingenuità che ha portato Kyiv a non fidarsi mai più di un impegno preso dal capo del Cremlino e cercare sempre garanzie di sicurezza serie. Il luogo in cui questa fiducia è sepolta è Ilovaisk, una cittadina che si trova nell’oblast di Donetsk, nella parte sotto occupazione russa. Ilovaisk venne presa nel 2014 dalle forze russe.

Mosca negò la sua partecipazione all’attacco come a tutta la guerra nella regione del Donbas. I soldati ucraini cercarono di riconquistare la città, uno snodo ferroviario importante a quaranta chilometri da Donetsk, il capoluogo dell’oblast che i sovietici chiamarono Stalino. Nell’agosto del 2014, gli ucraini riuscirono a entrare nel centro e issare ancora una volta la bandiera ucraina sui palazzi delle istituzioni. Non durò a lungo perché arrivarono nuovi mezzi e nuovi uomini a sostegno delle truppe del Cremlino e dopo giorni di combattimenti riuscirono a circondare gli ucraini, che rimasero immersi in quello che venne ribattezzato il “Calderone di Ilovaisk”. I soldati di Kyiv si ritrovarono assediati e senza alternative se non la morte o la resa. Scelsero la resa, senza sapere che  stavano scegliendo la morte. Fu accordato loro il passaggio lungo un corridoio verde.

Fu Vladimir Putin a dare il via libera e Vladimir Putin sicuramente conosceva anche le intenzioni dei suoi uomini sul campo. Mentre gli ucraini si ritrovarono ad attraversare un campo di girasoli, vennero tartassati dai colpi dell’artiglieria. Doveva essere un passaggio sicuro, si rivelò una trappola. Doveva essere una promessa, si rivelò una condanna. Nella memoria ucraina non esiste soltanto Ilovaisk, ogni giorno a Mariupol, durante l’assedio della città nel 2022 che cadde sotto i colpi russi resistendo per tre mesi, i corridoi umanitari per far uscire i civili si trasformavano in trappole. E ancora prima che la guerra iniziasse, nel 2003, Putin diede ordine di iniziare a costruire una diga sull’isola ucraina di Tuzla, senza dire nulla a Kyiv e brigando nello stretto di Kerch, che divide la Crimea occupata dalla Russia, come fosse il suo. Già il presidente in Russia era  Vladimir Putin, voleva collegare l’isola ucraina alla terraferma russa. Le mise le mani sopra, voleva mostrare che possedeva l’Ucraina. Da quel momento in poi continuò ad avanzare.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)