Foto Ansa

I terroristi e i media

“Così i media fanno il gioco di Hamas”. Parla Matti Friedman

Giulio Meotti

L'intellettuale e giornalista israelo-canadese che lasciò l’Ap: “Così censuravamo un articolo sui terroristi in abiti civili”

Le foto di Gaza influenzano la politica mondiale. Ma se la penuria a Gaza è reale, le immagini spesso non lo sono. Ora un’inchiesta della Süddeutsche Zeitung tedesca mette in discussione alcune di queste immagini: fotografie da Gaza deliberatamente orchestrate parte di una strategia mediatica dei terroristi di Hamas. Una foto mostra persone disperate con le scodelle e le pentole davanti a un punto di distribuzione alimentare. Di fronte a loro, il fotografo Anas Zayed Fteiha, un “giornalista” pagato dall’agenzia di stampa turca Anadolu. Le persone agitano le pentole. Le foto di Fteiha – distribuite da Stern e New York Magazine, Cnn e Bbc – mostrano il caos e la distruzione. Ma Fteiha a quanto pare ha una missione: “Free Palestine” e “Fanculo Israele”. Lo scrive su Instagram, in tenuta da combattimento con l’orgogliosa scritta “Press”. La Süddeutsche ha mostrato Fteiha che mette in fila per la foto le persone che aspettano il cibo.

Due settimane fa le prime pagine dei giornali, anglosassoni e italiane, avevano le immagini di un bambino che poi si è scoperto essere affetto da una malattia genetica non correlata alla malnutrizione. NBC News ha pubblicato le foto, poi smentita, di Ahmed Jihad Ibrahim al Arini. Eppure, quando si è trattato del filmato dell’ostaggio israeliano Evyatar David, la NBC ha dichiarato di non poter “verificare in modo indipendente” il video. Sia il New York Times che il Washington Post hanno dato risalto all’immagine di al Arini in prima pagina. Ma i volti scavati degli ostaggi non hanno fatto notizia. Il Post non ha nemmeno considerato i video degni di nota per un articolo a sé, citandoli  sulla visita dell’inviato statunitense Steven Witkoff in Israele. Matti Friedman, intellettuale e giornalista israelo-canadese che vive a Gerusalemme, ha lavorato per dieci anni all’Associated Press, la principale agenzia di stampa del mondo.

“Per quanto ne so, sono stato il primo membro dello staff a cancellare informazioni da un articolo perché siamo stati minacciati da Hamas, cosa che è successa  alla fine del 2008” racconta Friedman al Foglio. “Avevamo un ottimo reporter a Gaza, un palestinese che era sempre stato un ottimo inviato. C’era un dettaglio in un articolo. E il dettaglio era cruciale. Era che i combattenti di Hamas erano vestiti da civili e venivano conteggiati come civili nel bilancio delle vittime, una cosa importante da sapere”. Il reporter ha chiamato Friedman poche ore dopo. “Era chiaro che qualcuno gli aveva parlato,  ero alla mia scrivania a Gerusalemme,  stavo scrivendo l’articolo dalla sede centrale. E mi ha detto: ‘Matti, devi eliminare quel dettaglio dall’articolo’. Ed era chiaro che qualcuno lo aveva minacciato. Ho eliminato il dettaglio dall’articolo. Ho suggerito ai  redattori di annotare che  ci stavamo adeguando alla censura di Hamas. La mia decisione è stata scavalcata e da quel momento l’Associated Press, come tutte le sue organizzazioni affiliate, collabora con la censura di Hamas”.

Cosa significa? “Vedrete molti civili morti e non vedrete militanti morti. Non avrete un’idea chiara di quale sia la strategia militare di Hamas. E questo è il punto, il centro della copertura mediatica sarà un numero, un numero di vittime, fornito alla stampa da qualcosa chiamato ‘Ministero della Salute di Gaza’, che è Hamas. E lo facciamo dal 2008. Perché quando dici che 50 palestinesi sono stati uccisi e un israeliano in un dato giorno, non importa cos’altro dici. I numeri raccontano la storia. Ma poiché i giornalisti simpatizzano con quella parte, sono felici di stare al gioco. La stampa è  un amplificatore per una delle ideologie più velenose del mondo. Hamas ha capito come far sì che la stampa amplificasse il messaggio”. L’intimidazione ha un ruolo: “I giornalisti a Gaza sono intimiditi da Hamas e i reporter occidentali dipendono da loro per tutti gli articoli, traduttori, fixer, autisti, fotografi. E tutte queste persone lavorano per Hamas, volenti o per paura. Ma la stampa, come vidi io all’Associated Press, è stata poi contaminata dall’attivismo di sinistra che vede Israele come il male.  Chiunque si oppone al sionismo e all’occidente trova  simpatia nella stampa, anche se Hamas si oppone a tutto quello a cui tengono i progressisti, dai diritti delle donne agli omosessuali. Ma visto che sono contro Israele  trovano eco nella stampa, i loro compagni di viaggio”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.