(foto d'archivio Ansa)

la lettera

Se la bandiera di Israele diventa oggetto di una campagna politica

Michelangelo Agrusti

La bandiera dello stato ebrico è stata rimossa dalla sede di Confindutria Pordenone dopo le polemiche per essere "troppo schierati con Israele". Anche se merita di tornare dov'era quando questa guerra sarà finita

Al direttore - C’è una bandiera che è rimasta appesa per mesi a Palazzo Klefisch, sede di Confindustria, a Pordenone. Era la bandiera di Israele, ed era lì dal 7 ottobre. Non per provocazione. Non per partito preso. Ma per memoria e per solidarietà. Perché quel giorno i terroristi di Hamas hanno compiuto una strage: più di mille civili israeliani uccisi perché ebrei, donne incinte sventrate, bambini rapiti, corpi torturati. E’ da lì che nasce la guerra. Una guerra terribile, che tutti speriamo finisca presto, e che ha causato – e continua a causare – vittime innocenti da ogni parte.

Ma quel gesto, appendere una bandiera, è diventato oggi oggetto di una campagna politica. Una petizione ne ha fatto il pretesto per chiedere la mia rimozione dalla presidenza di Pordenonelegge, accusandomi di essere “troppo schierato con Israele”. Non si discute più della cultura, né della libertà, né del pluralismo. Si cerca un nemico, e si costruisce un caso.

Eppure quella bandiera – e lo rivendico – non è la bandiera di un governo. Non è la bandiera di Netanyahu, né della destra religiosa. E’ la bandiera di un popolo che esiste, che ha diritto a esistere, e che da decenni subisce guerre e terrorismo da chi ne nega il diritto stesso alla vita. E’ la bandiera degli ebrei di oggi e di ieri, di quelli che vivono tra noi, che ricordiamo il 27 gennaio quando posiamo le pietre d’inciampo, e di quelli che ancora oggi vivono sotto minaccia.

La tragedia del popolo palestinese, che pure invochiamo con dolore, merita lo stesso rispetto e la stessa difesa. Ma confondere il sostegno al diritto all’esistenza dello stato d’Israele con una posizione ideologica o militare è profondamente scorretto. Come ha ricordato anche Abu Mazen, è Hamas stesso a tenere in ostaggio il suo popolo. E sono anche Hezbollah, gli houthi, l’Iran a minacciare Israele.

Tutti speriamo nella fine dell’orrore. Tutti auspichiamo che i palestinesi abbiano finalmente uno stato che viva in pace con Israele. Ma tutti, allo stesso modo, dovremmo chiedere la liberazione immediata degli ostaggi israeliani ancora nelle mani dei terroristi.

Rimuovere quella bandiera non è stata una resa, ma un gesto per non offrire a chi cerca pretesti la possibilità di strumentalizzare. Ma quella bandiera tornerà dov’era quando questa guerra sarà finita, e con essa anche il terrore. Perché nessuna cultura può crescere nell’equidistanza morale tra chi rivendica il diritto a vivere e chi lo nega. E perché anche i morti, come i vivi, meritano una sepoltura, e non la polemica.

presidente Confindustria Alto Adriatico

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