
Le scelte di Israele tra occupazione militare di Gaza o un accordo totale
Mentre il governo pensa a come cambiare la guerra nella Striscia, si apre il nono fronte. Le divisioni interne tra licenziamenti, appelli degli ex capi della sicurezza e la paura che il conflitto si trasformi in una sconfitta mentre il paese si perde nei tunnel di Hamas
In Israele si è aperto il nono fronte e questa volta è una parte della società israeliana che lotta con un’altra parte della società israeliana. Non è facile per Israele rivoltarsi contro se stesso, e non è stato con leggerezza che ex alti funzionari della sicurezza israeliana, tra capi di Tsahal e della agenzie di intelligence, hanno girato un video in cui chiedono di porre fine alla guerra prima che sia una sconfitta, proprio nel giorno in cui, secondo i media israeliani, il primo ministro Benjamin Netanyahu avrebbe comunicato all’esercito la sua intenzione di procedere con la totale occupazione militare della Striscia di Gaza. Non è detto che il capo di stato maggiore, Eyal Zamir, sia d’accordo, ha già comunicato in passato i suoi dubbi. Non è la prima volta che il premier e i suoi ministri vengono criticati, ma è la prima volta che le voci si uniscono, parlano all’unisono, fanno sentire il peso della loro esperienza. Nel video, una voce fuori campo dice: “Ognuna di queste persone ha partecipato a processi decisionali delicati (…) insieme hanno più di mille anni di esperienza in sicurezza nazionale e diplomazia”. In un paese in cui il servizio militare è obbligatorio e la guerra è nella storia di ogni famiglia, l’opinione dei capi della sicurezza ha un valore prossimo al sacro. “Questa guerra è iniziata come una guerra giusta, una guerra difensiva (…) ma una volta ottenuta una brillante vittoria militare contro tutti i nostri nemici (…) sta portando lo stato di Israele alla perdita della sua sicurezza e identità”, dice nel video l’ex direttore dello Shin Bet Ami Ayalon, e lo dice furioso, preoccupato, agitato dalla paura che non sia Hamas a essere eliminato dalla Striscia di Gaza ma sia Israele stesso a cadere militarmente e moralmente nella guerriglia e nei tunnel dei terroristi, trascinato in una guerra che aveva due obiettivi – eliminare Hamas e liberare gli ostaggi – e che sta mancando di realizzare quello che forse è il più costitutivo della coscienza israeliana: far tornare a casa vivi più rapiti possibili.
Nella Striscia gli ostaggi vivi sono rimasti circa in venti, gli altri sono corpi e in Israele ormai si sente l’urgenza di arrivare a un accordo che sia totale: “Il vecchio accordo che prevedeva la liberazione di soli dieci ostaggi vivi è superato, ora bisogna cambiare, non si può più parlare di un accordo se non per la liberazione di tutti”, dice al Foglio Guy Aviad, esperto di Hamas ed ex ufficiale dell’esercito israeliano. “Israele ha dimostrato di saper sconfiggere i suoi nemici, ha indebolito Hamas ma non può indebolirlo oltre con le armi. Adesso deve avere la forza di capire che i terroristi non sono più una minaccia per gli israeliani e Tsahal può controllare il confine: gli errori del 7 ottobre non verrebbero più ripetuti”. Aviad guarda alle vittorie che Israele ha ottenuto contro Hezbollah in Libano e contro l’Iran. Ma quando le autorità parlano di Gaza, non arrivano mai al punto di dichiarare vittoria, anche perché Hamas riesce a contare ancora al tavolo dei negoziati, riesce a pretendere, ad alzare la posta, non si comporta da sconfitto: “Sa usare la comunicazione, non è una novità”, dice Aviad. Hamas studia Israele, usa come un successo personale il riconoscimento dello stato palestinese promesso dai leader occidentali, mostra gli ostaggi stremati sapendo di poter sconvolgere la popolazione israeliana con quelle immagini di ragazzi ai quali non resta molto da vivere dopo quasi settecento giorni in prigionia. La paura degli israeliani è che il governo non capisca e non abbia interesse a capire. Oggi si è combattuta un’altra lotta del fronte interno: il governo ha votato per licenziare la procuratrice generale Gali Baharav-Miara. La Corte suprema è intervenuta per bloccare la nomina immediata di un nuovo procuratore. Alcuni partiti di opposizione hanno firmato una petizione contro la decisione del governo, accusandolo di eliminare tutte le alte cariche in disaccordo con il primo ministro e di indebolire così il paese intero.

L'editoriale dell'elefantino