Il fronte orientale

Da Trump ai sistemi antidrone, i problemi di Taiwan sono sempre più simili a quelli dell'Ucraina

Giulia Pompili

“Certe tattiche generali di contrasto ai droni sono universali e possono essere applicate sia in Ucraina sia a Taiwan", dice Anatolii Khrapchynskyi. E Taipei è fin troppo incerta riguardo all'America, dice John Dotson

Ieri il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun,  ha detto che “la Cina si oppone fermamente a qualsiasi forma di interazione ufficiale tra la regione di Taiwan e gli Stati Uniti”, in reazione a una notizia diffusa dal Financial Times secondo la quale una delegazione del Congresso guidata dal senatore repubblicano Roger Wicker sarebbe pronta a partire per Taipei. Il Congresso americano vuole dimostrare sostegno a Taiwan in un momento in cui le politiche della Casa Bianca sembrano chiudere entrambi gli occhi sull’aggressività cinese.


Taiwan, che la Repubblica popolare cinese rivendica illegittimamente come proprio territorio, è in un momento  delicato della sua esistenza: da un lato fa fatica a gestire quella che viene definita la “lenta unificazione” di Pechino, fatta di tattiche ibride e pressioni politiche e diplomatiche che negli ultimi mesi – soprattutto dopo l’arrivo alla presidenza di Lai Ching-te – sono aumentate. Dall’altra è costretta a prepararsi a una potenziale invasione armata. Le divisioni all’interno della politica locale non aiutano: ieri il presidente taiwanese Lai Ching-te si è scusato con gli elettori e gli attivisti del Partito democratico progressista per il fallimento dei referendum di domenica scorsa sulla revoca di 24 eletti allo Yuan legislativo (il Parlamento di Taiwan) del partito nazionalista del Kuomintang, che  promuove sempre più esplicitamente una forma di collaborazione più attiva con Pechino. E del resto Taiwan, sotto la presidenza di Lai, fatica a resistere all’isolamento diplomatico promosso dalla Cina. Su pressioni di Pechino, il governo sudafricano la scorsa settimana ha declassato gli uffici di rappresentanza di Taiwan nel paese, cambiando loro nome e status. E’ un segnale piccolo ma significativo, per un paese riconosciuto formalmente da soltanto 12 governi nel mondo che resiste alla minaccia cinese anche grazie ai rapporti informali con il resto del mondo e soprattutto con gli Stati Uniti. L’Amministrazione Trump avrebbe negato il permesso di transito del presidente Lai a New York per evitare problemi con la Cina. Lo stesso trattamento sarebbe stato riservato al ministro della Difesa Wellington Koo a giugno. “Se fosse vero, sembrerebbe un ritorno alle pratiche delle amministrazioni passate di Bush e Obama, in cui le questioni che riguardavano Taiwan venivano considerate secondarie rispetto ai negoziati con Pechino”, dice al Foglio John Dotson, direttore del Global Taiwan Institute di Washington. “Trump  senza dubbio  desidera molto un accordo con la Cina che possa vantare come una vittoria, e il suo interesse personale sembra orientarsi più verso considerazioni economiche e di pr che verso  tradizionali considerazioni geopolitiche”. Secondo Dotson, le relazioni tra Stati Uniti e Taiwan sono influenzate da una serie di questioni complesse, “sia in termini economici sia di sicurezza. L’attuale Amministrazione Lai  ha avviato i primi tentativi di contatto con Trump all’inizio di quest’anno, nella speranza di ricevere garanzie di un continuo supporto in materia di sicurezza e di scongiurare l’imposizione di dazi sui prodotti taiwanesi. Sul fronte della sicurezza, Trump sembra aver continuato a sostenere le vendite di armi a Taiwan”, facendo però “pressione affinché aumentasse la propria spesa per la Difesa. Sul fronte commerciale, vi è una grande incertezza sui dazi imposti dagli Stati Uniti, e le speranze di Taiwan di evitarli sono state finora deluse”. Da parte di Taiwan “c’è una grande incertezza riguardo alla politica statunitense, sia in termini di sicurezza sia commerciali”.


Neanche un mese fa, Taiwan ha coinvolto anche la popolazione civile nelle esercitazioni militari Han Kuang, che quest’anno sono state le più imponenti della storia. Sono esercitazioni per prepararsi a un attacco armato contro l’isola da parte di una potenza straniera, e secondo diverse analisi uno dei principali asset strategici per la difesa e il contrattacco saranno i droni. Taiwan sta già lavorando al suo programma di velivoli a pilotaggio remoto, e collabora anche con alcuni paesi europei per rafforzarlo.  “In realtà, nessun paese al mondo è completamente preparato a questo tipo di minaccia”, dice al Foglio Anatolii Khrapchynskyi, che ha fondato un’azienda specializzata in sistemi di guerra elettronica ed è un ex ufficiale dell’aeronautica militare ucraina esperto di aviazione. “Si tratta di un nuovo strumento di terrore che richiede lo sviluppo di una strategia di contrasto completamente nuova”. In Ucraina, dice Khrapchynskyi, “abbiamo già implementato in parte tali soluzioni e continuiamo ad aumentarle passo dopo passo. Purtroppo però la maggior parte dei sistemi offerti dai nostri partner occidentali rimane inefficace contro questa minaccia”. I sistemi d’arma tradizionali si concentrano su minacce aeree più grandi e veloci, come aerei e missili da crociera. “Dovremo unire gli sforzi per creare un nuovo sistema di rilevamento a più livelli, che impieghi radar passivi e attivi, una varietà di sensori tra cui quelli acustici, termici e visivi, insieme a un’architettura di intercettazione distribuita per impedire agli avversari l’uso efficace dei droni da combattimento. L’obiettivo principale deve essere quello di rompere la logica alla base dell’uso di droni come Shahed, rendendoli inefficaci come arma”. Per Khrapchynskyi, “certe tattiche generali di contrasto ai droni sono universali e possono essere applicate sia in Ucraina sia a Taiwan. Allo stesso tempo, l’Ucraina ha attraversato un difficile percorso di tentativi ed errori e molte soluzioni non sono ancora state pienamente implementate. Ciò offre a Taiwan un’opportunità unica per imparare dalla nostra esperienza, dai nostri successi e dai nostri errori, per implementare un sistema efficace di contrasto ai droni fin dall’inizio, senza sprecare tempo prezioso”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.