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Italia-Algeria
Il silenzio dell'Italia all'incontro con il presidente algerino fa male a Boualem Sansal
A Roma si celebra il rafforzamento dei rapporti tra Algeria e Italia, ma lo scrittore algerino rimane detenuto in prigione per aver difeso la laicità e aver criticato l'autoritarismo crescente del suo paese. L'amicizia tra i due paesi dovrebbe basarsi anche su principi comuni e valori condivisi, non solo su interessi commerciali
La recente visita ufficiale del presidente algerino Abdelmadjid Tebboune in Italia ha segnato, secondo le dichiarazioni ufficiali, un rafforzamento storico delle relazioni bilaterali. Sono stati firmati tredici accordi, tra cui importanti intese in materia di energia, telecomunicazioni, lotta al terrorismo e gestione dei flussi migratori. E’ legittimo e perfino auspicabile che il governo italiano sviluppi una cooperazione economica e strategica con un paese del Mediterraneo così centrale. Ciò che colpisce, e preoccupa profondamente, è, però, l’assenza totale di ogni riferimento ai diritti umani durante la visita del presidente algerino. Nel momento stesso in cui a Roma si celebrava la “relazione esemplare” tra i due paesi, lo scrittore franco algerino Boualem Sansal, 80 anni, romanziere ammirato in tutta Europa e tradotto anche in italiano, resta detenuto in prigione in Algeria, in quanto condannato due volte per semplici opinioni espresse nei suoi libri e nelle sue interviste, in particolare a proposito della questione dell’appartenenza al Marocco del Sahara occidentale. La sua vera “colpa”? Avere difeso la laicità, la libertà di pensiero e avere criticato l’autoritarismo crescente del suo paese.
E non è l’unico. Christophe Glezies, altro cittadino francese, è oggi incarcerato per motivi anch’essi politici. In Algeria, centinaia di attivisti, giornalisti, studenti, difensori dei diritti umani sono in carcere o sotto sorveglianza, in violazione flagrante degli impegni internazionali sottoscritti da Algeri. Mi si permetta di dire che il Papa, durante il suo incontro con il presidente Tebboune, avrebbe potuto – e forse dovuto – ricordare queste verità. La Chiesa non ha mai avuto timore, nella sua storia, di alzare la voce contro l’ingiustizia. Sant’Agostino, che tanto ha influenzato il pensiero cristiano e occidentale, ci ricorda che “senza giustizia, gli stati non sono altro che bande di briganti”. Il silenzio, anche se diplomatico, è talvolta una complicità. Questo vale anche per la Francia. Beninteso, l’Italia, come qualunque altro paese, ha il diritto di difendere i propri interessi strategici. L’Algeria è un partner energetico chiave, soprattutto in un momento in cui l’Europa cerca alternative al gas russo. La Francia, poi, non può certo dare nella fattispecie lezioni di efficacia diplomatica e di coerenza strategica. Quando però la realpolitik si spinge troppo oltre i limiti della decenza finisce sempre per rivelare la propria inadeguatezza morale e diplomatica.
L’episodio verificatosi durante questa visita lo dimostra: il presidente Tebboune ha voluto far credere che l’Italia sostenesse la posizione algerina sul Sahara occidentale, in contraddizione con le risoluzioni dell’Onu e la posizione europea. Il governo italiano ha smentito ufficialmente tale lettura, creando un incidente diplomatico che ha rovinato in parte la propaganda trionfalistica algerina. Questo gesto non è casuale. Il regime algerino cerca da mesi di rompere il suo isolamento internazionale, che è reale: è isolato in Africa, dove molti paesi si avvicinano al Marocco; isolato in Europa, dove le critiche sul rispetto dei diritti umani si moltiplicano; isolato negli Stati Uniti, dove la diplomazia guarda con sospetto all’autoritarismo crescente di Algeri e alla sua vicinanza con alcuni fra gli avversari più minacciosi dell’occidente, quali l’Iran o la Siria di prima della caduta di Bashar el Assad. L’imprigionamento di stranieri innocenti è del resto sempre di più paragonato alla “diplomazia degli ostaggi” praticata a Teheran. In questo contesto, l’Italia può apparire come il punto debole da prendere di mira, una breccia nella coerenza occidentale che rischia di metterla in difficoltà davanti ai suoi partner europei e a paesi amici – fra tutti Marocco e Stati Uniti – e dare così l’impressione che uno dei fondatori dell’Europa rinunci a difendere i valori che essa stessa professa.
L’amicizia tra le nazioni non può fondarsi solo su scambi commerciali o interessi a breve termine, ma deve basarsi su princìpi comuni, su valori condivisi, tra cui la libertà, la dignità della persona, la giustizia. Invito le autorità italiane a fare ciò che il prestigio e la storia del paese impongono loro: non voltare le spalle a chi oggi soffre in silenzio, imprigionato per aver pensato o scritto liberamente. E a ricordare così che ogni politica estera è anche un messaggio per il futuro.
Jean-Michel Blanquer è ex ministro dell’Istruzione della Francia (2017-2022). Professore di diritto pubblico (Università Panthéon-Assas), presiede il Laboratoire de la République.