Mike Huckabee (foto LaPresse)

Editoriali

L'altalena dell'umore dell'ambasciatore americano in Israele Huckabee

Redazione

Mostra segni di rottura con Israele ma poi si ricompone. Il mestiere complicato dell’ex governatore dell’Arkansas, trumpiano convertito e ora ambasciatore in tempo di guerra. Le lodi e le accuse

Quando l’ambasciatore americano Mike Huckabee aveva iniziato il suo servizio in Israele, non c’era dubbio che Donald Trump avesse mandato un sostenitore dello stato ebraico e del governo di Benjamin Netanyahu. Huckabee è l’ex governatore dell’Arkansas, è un predicatore evangelico, un trumpiano convertito, ma diventato rampante dopo la sua conversione, tanto da scrivere libri per ragazzi per spiegare loro le politiche del presidente americano. Ora Mike Huckabee è in Israele, al suo posto, a governare l’Arkansas è andata sua figlia Sarah, ex portavoce della Casa Bianca. Non c’è dubbio che Huckabee sia sempre un appassionato di Israele e del suo premier, è andato anche ad assistere all’ultima sua udienza in tribunale. Ha giocato un ruolo fondamentale nel convincere Trump a muoversi contro l’Iran, si è mosso sussurrando, scavalcando l’inviato speciale per il medio oriente Steve Witkoff, sostenitore di un accordo con Teheran ogni costo, anche al costo di rimanere fregati.

Huckabee è un evangelico, ed è prima di tutto un americano e la scorsa settimana, quando un ragazzo di ventitré anni nato in Florida è stato ucciso dai coloni in Cisgiordania, è intervenuto per dire al governo di indagare in modo serio per “accertare le responsabilità di questo atto criminale e terroristico”. In questi giorni Huckabee ha invece mandato una lettera al ministero dell’Interno israeliano accusandolo di rendere lenta la procedura visti di ingresso collettivi a numerose organizzazioni cristiane, anche evangeliche. Huckabee ha minacciato di fare lo stesso con gli israeliani che chiedono il visto negli Stati Uniti. Israele ha risposto di non aver riscontrato nessuna procedura diversa e che la lettera di Huckabee era stata una sorpresa. L’ambasciatore è altalenante, mostra segni di rottura con Israele e poi si ricompone. Non ha cambiato idea sul sostegno allo stato, sta capendo la complessità del suo lavoro: un ambasciatore in Israele in tempo di guerra.

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