
Sede delle Nazioni Unite a New York (foto Getty)
attivismo e credibilità
Da Sansal a Israele, per ong e Onu l'universalità dei diritti finisce dove iniziano gli interessi geopolitici
Per Amnesty International, Human Rights Watch a Reporter senza frontiere, il silenzio sullo scrittore franco-algerino è diventato luogo comune. Mentre l’intera struttura della commissione d’inchiesta antisraeliana delle Nazioni Unite è crollata con le dimissioni di tutti i commissari
Il sequestro di persona, il processo durato dieci minuti, la mancanza di difesa, la condanna a cinque anni per un delitto d’opinione e di penna e il carcere spietato comminati allo scrittore franco-algerino Boualem Sansal avrebbero dovuto scatenare un’ondata di indignazione tra le principali organizzazioni per i diritti umani. Eppure, da Amnesty International, Human Rights Watch a Reporter senza frontiere, solo per citarne alcune, il silenzio è diventato luogo comune. Sulla pagina di Reporter non c’è una sola voce su Sansal, Human Rights Watch lo cita en passant parlando della mancanza di libertà in Algeria, mentre Amnesty si è distinta per l’indifferenza fin dal giorno dell’arresto di Sansal, il 16 novembre 2024.
Ma è un silenzio che solleva legittimi interrogativi sulla coerenza morale e sulla credibilità di un certo attivismo che è diventato selettivo e cinicamente politico. Il caso Sansal è oggetto di un’inquietante discrezione, sullo sfondo di un antisemitismo appena velato, poiché uno dei “crimini” di Sansal è stato quello di aver messo piede a Gerusalemme. E in un contesto in cui i social plasmano le narrazioni e il posizionamento delle ong è più cruciale che mai, sembra che l’universalità dei diritti finisca dove iniziano gli interessi geopolitici e, spesso, anche l’odio per Israele. Ma non c’è appello di attori e registi, “da Favino a Mastandrea”, che possa gratificare un dirigente delle Nazioni Unite colpito dalle sanzioni degli Stati Uniti, come è successo a Francesca Albanese, relatrice speciale per i territori palestinesi. Sanzioni che impediscono ad Albanese di recarsi negli Stati Uniti e bloccano tutti gli eventuali beni che detiene nel paese. Così, l’intera struttura dirigenziale della commissione d’inchiesta antisraeliana delle Nazioni Unite è crollata questa settimana con le dimissioni di tutti i commissari. La presidente della commissione, Navi Pillay, i commissari Miloon Kothari e Chris Sidoti hanno annunciato le dimissioni. Dimissioni simultanee meno di sette giorni dopo che il segretario di stato americano, Marco Rubio, ha imposto sanzioni alla Albanese.
E’ fuga di massa dalla commissione istituita nel 2021 in seguito alle richieste dell’Organizzazione per la cooperazione islamica. Sebbene Pillay abbia citato “età, salute e diversi altri impegni” come ragioni delle dimissioni, UN Watch ha celebrato la fuga degli “architetti dell’inquisizione antisraeliana delle Nazioni Unite che stanno abbandonando la nave”. Se Pillay ha fatto pressioni sui governi affinché “sanzionassero l’apartheid israeliano” e Sidoti era affiliato a un gruppo che chiede il boicottaggio di Israele, Kothari si è scagliato contro la “lobby ebraica” e ha messo in dubbio il diritto di Israele a essere membro delle Nazioni Unite.
La celebre storica dell’Olocausto Deborah Lipstadt, inviata speciale del dipartimento di stato contro l’antisemitismo sotto l’Amministrazione Biden, aveva detto: “E’ scandaloso che un esperto nominato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite abbia ripetuto tropi antisemiti e messo in dubbio la legittimità di Israele come membro dell’Onu”. Ma questa sembra essere diventata la ragion d’essere di certi soloni umanitari poco partecipi del destino infernale dell’unico romanziere arabo andato in Israele e “tornato felice”.


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