
Ansa
il momento decisivo
L'Europa per Kyiv: se non ora, quando?
Dire no senza sotterfugi a gas e petrolio russi, usare la leva finanziaria con Mosca e inasprire le sanzioni, dar fondo a ogni aiuto militare possibile all’Ucraina se la vogliamo libera e sovrana. Per l’Ue è il momento di decidere davvero
Per difendere l’Ucraina, per rendere davvero possibile la sopravvivenza di un’Ucraina libera, indipendente e democratica, a tre anni e mezzo dall’invasione russa l’ora decisiva è davvero scoccata: ora o mai più. L’improvvisa decisione statunitense di bloccare gli aiuti militari più preziosi per Kyiv ha posto termine a sei mesi di continue giravolte del presidente Trump, dall’umiliazione iniziale di Zelensky alla Casa Bianca a espressioni di ira verso Putin che rifiutava l’armistizio, dal ritorno al riconoscere a Putin la piena volontà (mai esistita) di porre fine alla guerra, fino all’attuale sospensione di tutto ciò che è più essenziale per la difesa antiaerea e antidroni dell’Ucraina. Straziata più che mai da migliaia di droni e missili che Putin ha lanciato sui civili ucraini negli ultimi mesi, in un crescendo continuo volto a far capire all’occidente che doveva smettere di credere che la macchina bellica russa si sarebbe fermata, in assenza di una piena capitolazione ucraina.
La stragrande maggioranza degli esperti occidentali di polemologia, tattica e strategia militare, è convinta che all’Ucraina, senza aiuti militari Usa, restino solo pochi mesi. Malgrado la stupefacente capacità ucraina di potenziamento delle proprie capacità di produzione di droni e mezzi dual use aerei e navali, a basso costo ma capaci di colpire in profondità le forze russe, di fatto spazzate via dal Mar Nero, mai capaci di conseguire la superiorità nello spazio aereo ucraino, e decimate nelle proprie basi aeree a migliaia di chilometri di distanza dal confine ucraino grazie a operazioni spettacolari coma la recente SpiderWeb di inizio giugno, malgrado tutto questo l’assorbimento quotidiano ucraino di missili antiaerei e antidroni per abbattere le crescenti ondate di attacchi russi è diventato così rilevante da non poter reggere a lungo, in assenza di congrui rimpinguamenti occidentali. Ecco facilmente spiegato l’incontenibile entusiasmo russo all’annuncio dello stop americano.
Ed ecco perché per l’Europa è venuta l’ora della scelta decisiva. Che cosa faremo? Fingeremo di ignorare che l’Ucraina può ora davvero cadere? Diremo che non è colpa nostra, se il preponderante sostegno americano è venuto meno, e che in ogni caso la debolezza dei nostri arsenali non consente in alcun modo di sostituirlo? Ci faremo andar bene una trattativa armistiziale viziata dall’ipotesi che Putin rilancerà in queste condizioni come clausole insuperabili un’Ucraina smembrata, disarmata e interdetta da ogni possibilità di futura adesione alla Ue e alla Nato, per ridursi a un ristretto stato-cuscinetto pronto a un nuovo presidente filorusso, come quello cacciato dagli ucraini nelle piazze e nelle urne? Non sono ipotesi estreme ma sarà realtà di qui a pochi mesi, se l’Europa decide di non volere o non potere prodursi in uno scatto di reni.
Per capire che cosa sia realistico fare, il metodo che vale sempre è guardare i numeri. La Russia di Putin, come comprovato dai dati reali degli attacchi aerei contro città e infrastrutture ucraine, a fine 2022 appariva già al punto di aver intaccato molto fortemente i propri arsenali di riserva di missili a medio-lungo raggio, muniti di tecnologie di sufficiente raffinatezza per modificare il proprio inviluppo di volo, disorientando ed evitando le difese ucraine e mantenendo la capacità di colpire con precisione i bersagli. Tanto che i russi avevano preso a utilizzare massicciamente ordigni tecnologicamente arretrati, e a volgere a vettori terra-terra i precedenti sistemi antiaerei S-300. Poi sono intervenuti nel 2023 tre grandi risolutori della crescente difficoltà militare russa. In primis il massiccio sostegno nel 2023 garantito a Putin dall’Iran sui droni, con tanto di trasferimento tecnologico per tre grandi impianti di produzione in Russia di ogni versione della famiglia di droni Shahed, fino a droni molto più raffinati delle ultime generazioni prodotte sotto l’occhiuta guida dei Guardiani della Rivoluzione iraniana. Di qui il fatto che anche nei suoi recenti attacchi notturni di massa siano i droni iraniani, l’arma aerea prioritaria russa. Molto più dei derivati degli Iskander o dei Khinzal russi, missili balistici terra-terra e aria-terra che Mosca tende a risparmiare. Poi è arrivata la Corea del Nord, con un certo numero di missili a raggio intermedio terra-terra e decine di migliaia di uomini destinati a far carne da cannone sui fronti terrestri. Ma in fine più di tutti ha contribuito la Cina, dalla quale Putin si approvvigiona ormai per oltre il 90 per cento. delle tecnologie e componenti microelettroniche, giroscopi e magneti che servono alle sue armi di precisione e droni. Oltre ai preziosi sostegni militari, Putin ha potuto contare sul massiccio impegno di alcuni paesi ad attenuare o raggirare le sanzioni internazionali adottate contro la Russia da Usa e Ue. In primis Cina e Turchia, per le triangolazioni societarie attraverso le quali l’occidente ha continuato non tanto a importare dalla Russia, ma esportare verso la Russia. Così si spiega infatti che molti rottami di missili che colpiscono l’ucraina continuino a rivelare componenti prodotte da paesi occidentali. In testa alle triangolazioni per l’export di petrolio e gas russo ci sono invece Cina e India, che assorbono tutta la quota petrolifera non assorbita dall’occidente, e spesso la ricommercializzano altrove attraverso flotte-fantasma. E’ grazie a tutto questo che l’economia russa nel 2023 e 2024 ha continuato a crescere, alimentando in tutto il resto del mondo l’idea che le sanzioni occidentali fossero una tigre di carta.
Su questi temi in effetti l’Europa da sola, senza concomitante pressione degli Stati Uniti, realisticamente non ha grandi carte da giocare. Sarebbe in aperto contrasto con i grandi sforzi che al contrario l’Unione Europea sta esercitando per aprire canali aggiuntivi commerciali e finanziari di collaborazione con Cina e India, E anche con la stessa Turchia di Erdogan. La voglia europea di petrolio e gas russi sottocosto resta ancora indomita e gode politicamente di ampi e malcelati sostegni nella politica europea: ed è per questo che continuiamo a importare ziti zitti oltre 20 miliardi di euro l’anno di gas e petrolio russi.
Veniamo allora ai numeri delle sanzioni dirette adottate contro Putin. A cominciare da quelle che hanno fatto più male alla Russia, quelle finanziarie. Molti continuano a ripetere che l’arma più nuova ed efficace adottata in tutta la panoplia di sanzioni commerciali sia stata la sospensione per le banche russe della partecipazione al sistema internazionale di pagamenti che è dominante nel mondo, per le operazioni interbancarie e la regolazione monetarie degli intercambi commerciali, cioè il sistema Swift. Il ruolo di Mario Draghi fu decisivo, nell’aprile del 2022, per convincere la Fed e gli Stati Uniti a questa mossa senza precedenti, assunta di concerto tra le banche centrali di Ue, Usa, Canada e Regno Unito. C’è però anche molta retorica, nel bando ai russi di Swift. Ci si dimentica sempre di precisare che a essere escluse da Swift fossero in tutto e per tutto solo sette banche russe: certo, le più rilevanti per operazioni cross border, ma lasciandone però centinaia operative per ogni tipo di flusso finanziario estero. Che infatti hanno fatto egregiamente il loro mestiere dal 2023 sino a oggi, estendendo il più possibile la lista di esenzioni alle sanzioni commerciali antirusse in settori come il nucleare a fini civili, avionica e pezzi di ricambio per l’aviazione civile, export di derrate agricole e fertilizzanti.
Ecco, su questo preciso tema l’Unione Europea potrebbe, insieme a Regno Unito e Canada che sono insieme nella coalizione dei volenterosi che vuol tenere duro sull’Ucraina, anche senza il sì degli Usa adottare la decisione di estendere nei nostri territori il bando da Swift a un centinaio di banche russe di media e piccola capitalizzazione. Sarebbe un bel colpo per l’economia russa che è assai meno vigorosa di quanto si continua a leggere nella propaganda filo russa, visto che Putin la settimana scorsa è stato costretto a minacciare di galera il suo stessi ministro delle Finanze che aveva pubblicamente citato l’ipotesi di una recessione vicina, per la sofferenza che molte filiere produttive dimostrano in maniera crescente verso tassi d’interesse saliti al 20 per cento, un’inflazione che malgrado la stretta monetaria non scende sotto il 9 per cento, e l’accentramento di ordini sul solo settore militare, in quella che è diventata a tutti gli effetti solo un’economia di guerra, mentre la produzione di beni alimentari essenziali è scesa a picco.
Altro tema finanziario su cui l’Europa potrebbe decidere da sola, con il concento britannico e canadese, è l’utilizzo pro Ucraina del più dei 300 miliardi di asset finanziari russi congelati a seguito delle sanzioni, e di cui la stragrande maggioranza è custodita in Europa. Ogni timore e prudenza su questa decisione, che sarebbe anch’essa senza precedenti, possono e devono essere superati di fronte all’eventualità che la caduta dell’Ucraina consegni l’Europa ad assistere imbelle all’attacco di Mosca verso paesi la cui procedura di ingresso nella Ue è già aperta da tempo, com’è appunto il caso dell’Ucraina. Una parte di questi asset finanziari andrebbe usata per consentire subito all’Ucraina di “pagare” e non di elemosinare, i trasferimenti di armamenti di cui ha bisogno da parte occidentale. Una seconda tranche andrebbe usata per finanziare il potenziamento di produzioni militari in Ucraina con la cooperazione di primarie aziende di difesa europee e britanniche. Una terza parte per finanziare la futura ricostruzione di un’Ucraina che deve continuare a essere libera, sovrana e indipendente, non uno stato-cuscinetto.
Infine c’è l’aspetto direttamente militare. L’Europa ha trasferito all’Ucraina molti più sostegni finanziari degli Usa per evitare che l’Ucraina finisse in default, visto che la sua capacità di raccogliere imposte nella guerra è scesa sottozero. Ma il sostegno diretto statunitense in molti ambiti militari è stato decisivo, per quanto tardivo: Patriot antiaerei a lunga distanza, Atacms con missili aria-terra e portata di centinaia di chilometri, alcuni milioni di proiettili da 155 mm per l’artiglieria semovente, tank e blindanti, ricognizione e identificazione aerea e d’intelligence esercitata da velivoli Usa e Nato circuitanti appena fuori l’aerospazio ucraino, tutte informazioni passate in link alla difesa territoriale e ai droni delle truppe ucraine sul campo. Con lo stop attuale di Trump, si compie un processo che in realtà è cominciato da inizio 2025, quando fu subito chiaro che i 20 mila missili di vario tipo promessi da Biden all’Ucraina non sarebbero mai arrivati, perché secondo la nuova amministrazione occorreva ridislocarne un buon numero verso l’Indo-Pacifico e il Medio Oriente.
Vero è anche che l’Europa non ha un granché, nelle sue riserve attuali di sistemi antiaerei, missili e munizioni per pareggiare il venir meno dell’offerta americana a Kyiv. Ma in un momento come questo, i governi europei più e davvero decisi a non lasciare l’Ucraina al suo destino dovrebbero assumere una decisione straordinaria. Essere disposti a dar fondo a qualunque riserva esistente, di munizioni d’artiglieria, sistemi di ricognizione e radar, missili Storm Shadow, Scalp, i Taurus tedeschi, i Javelin britannici e gli Stinger spalleggiabili antiaerei a corto raggio, per trasferire il tutto in breve tempo all’Ucraina e consentirle una lotta meno impari nei prossimi mesi, man mano che le riserve statunitensi si esauriscono.
Certo, sono decisioni che ci metterebbero tutte al primo posto nella linea delle vendette e delle destabilizzazioni di Putin. I Salvini e i Conte, i Fico e i Mélenchon via via continuando con la lunga lista di partigiani europei di Putin, tutti urlerebbero dicendo che siamo noi che dichiariamo la guerra alla Russia, che invece a noi non l’ha mai dichiarata. E invece no, la Russia la guerra l’ha dichiarata, l’ha combattuta e la combatte eccome da anni, contro un’Europa che sia bastione dell’occidente, della libertà e della democrazia. Ora è il momento di decidere per davvero, se vogliamo un’Ucraina libera e sovrana in un’Europa che lo sia altrettanto. O se invece pieghiamo il capo di fronte a terrore e sterminio, fingendo che non ci riguardino.