
Ansa
Ventisette realisti
L'inchino degli europei a Trump per salvare l'Alleanza e il suo articolo 5
Il presidente americano usa commercio e difesa come un'unica arma. All’Aia i paesi Ue accettano l’aumento delle spese militari, preparano concessioni sui dazi e gli regalano una grande vittoria
Bruxelles. I messaggi adulatori di Mark Rutte, le lusinghe degli altri leader europei, l’atteggiamento ossequioso al limite del servile nei confronti di Donald Trump sfiorano il ridicolo. Ma non si può fare altrimenti. Questa è la conclusione a cui sono giunti i leader dell’Unione europea, cinque mesi dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Lo hanno dimostrato ieri al vertice Nato, accettando l’obiettivo del 5 per cento di pil nella spesa per la Difesa. Potrebbero mostrarlo al Consiglio europeo di oggi, chiedendo alla Commissione di evitare a ogni costo un’escalation sui dazi. Non c’è alternativa. “Non si costruisce l’Europa della difesa e l’autonomia strategica in un giorno”, spiega al Foglio un alto funzionario dell’Ue. Gli Stati Uniti devono rimanere impegnati nella Nato perché sono l’unica vera deterrenza contro la minaccia della Russia. E sono il partner economico più importante dell’Unione europea.
L’accordo alla Nato sul 5 per cento ha consentito a Trump di rivendicare una grande vittoria sugli europei. I risultati del vertice sono “eccezionali”, ha detto il presidente americano, sottolineando la “necessità che gli altri membri della Nato si assumano l’onere della difesa dell’Europa”. Per gli europei era il prezzo da pagare per un impegno che non ha prezzo: quello degli Stati Uniti per la loro sicurezza, scritto nell’articolo 5 del trattato Nato sulla difesa collettiva. Trump aveva nuovamente messo in dubbio l’impegno sull’Air Force One che lo ha portato all’Aia. La dichiarazione finale del vertice ribadisce “l’impegno ferreo per la difesa collettiva, sancito dall’Articolo 5 del Trattato di Washington, secondo cui un attacco a uno è un attacco a tutti. Rimaniamo uniti e risoluti nella nostra determinazione a proteggere il nostro miliardo di cittadini, difendere l’Alleanza e salvaguardare la nostra libertà e democrazia”. La dichiarazione menziona anche la Russia come “minaccia di lungo termine per la sicurezza euro-atlantica”. Non era scontato. La grande paura degli europei era il venir meno dell’ombrello nucleare americano. “Mai, mai, mai rimettere in discussione la deterrenza”, aveva detto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, in un’intervista al Foglio a inizio giugno in vista dei vertici del G7 e della Nato con Trump.
Tre anni e quattro mesi di guerra della Russia contro l’Ucraina e cinque mesi di presidenza Trump non sono stati sufficienti per costruire una difesa e una deterrenza europea credibile. Il rapporto con gli Stati Uniti è diventato “incerto e imprevedibile”, spiega l’alto funzionario dell’Ue. Trump “ha rotto alcuni princìpi tradizionali costitutivi della nostra alleanza. Ci stiamo preparando per lo scenario peggiore, ma non accadrà domani. Non c’è una soluzione a portata di mano”. Tuttavia, “i leader hanno compreso cosa deve essere fatto. Abbiamo un’agenda molto forte sulla difesa. Ci sono differenze significative rispetto a gennaio”, dice l’alto funzionario. In pochi mesi la Commissione ha lanciato il piano di riarmo da 800 miliardi di euro, di cui 150 miliardi di prestiti forniti attraverso lo strumento Sure, approvato a tempo di record in 72 giorni. Il Consiglio europeo oggi chiederà alla Commissione di preparare una “road map” per i prossimi passi, da discutere al prossimo vertice europeo in ottobre. Giorgia Meloni, Emmanuel Macron e Pedro Sánchez metteranno sul tavolo il tema di uno strumento di debito comune. Tra i ventisette non c’è ancora l’unanimità, ma le linee si stanno muovendo. “Il tema è inevitabile”, spiega una fonte europea. Anche sull’economia la volontà dell’Ue è di non arrivare alla rottura. “Le nostre economie sono pienamente interconnesse”, dice l’alto funzionario. Ma “se si guarda alla competitività, a volte è lenta, ma c’è una chiara agenda di autonomia strategica dell’Ue”.
Al Consiglio europeo, i capi di stato e di governo dovranno dare indicazioni a Ursula von der Leyen su quali sono le linee rosse da non superare nei negoziati sui dazi. La speranza è di arrivare a un accordo di principio entro il 9 luglio, per guadagnare tempo prima di un accordo vero e proprio. Ma l’Ue si sta preparando a vedersi imporre un “accordo asimmetrico”, come quello del Regno Unito, vista la volontà di Trump di mantenere il “dazio di base” del 10 per cento. A differenza del Regno Unito, che ha un disavanzo commerciale, l’Ue ha molto più da rimetterci. La Commissione ha preparato misure di ritorsione per quasi 100 miliardi di euro. Alcuni paesi chiederanno un “riequilibrio” rispetto al dazio di base. Ma la maggioranza degli stati membri vuole evitare un’escalation con Trump. L’equilibrio è difficile da trovare, tanto più che gli Stati Uniti insistono su concessioni che toccano la sovranità legislativa dell’Ue. Trump inoltre usa commercio e difesa come un’unica arma. Ieri ha minacciato di imporre alla Spagna un dazio doppio rispetto al resto dell’Ue per punire Sánchez per aver rinnegato l’impegno sul 5 per cento di pil per la difesa.