
Netanyahu nel 2015 all’Onu dichiara che l’Iran è al 70 per cento del percorso di arricchimento dell’uranio per un ordigno nucleare (foto Ansa)
l'analisi
Contro la bomba di Allah
Teheran è l'ossessione di Netanyahu da quando, nel 1985, sentì l’ambasciatore iraniano chiedere che Israele venisse “escisso come un tumore canceroso” e “gettato nella pattumiera della storia”. Fermare l’atomica iraniana è da quarant'anni la sua missione e per farlo si è messo contro tutti
Quando la bomba nucleare univa il club elitario di una manciata potenze mondiali relativamente sane di mente, il progressista occidentale medio era convinto che il pianeta stesse per esplodere da un momento all’altro. Il fungo atomico era una delle immagini più familiari nella cultura, nei romanzi, nelle copertine degli album e nei manifesti cinematografici. C’erano anche libri illustrati per bambini. Ora che uno stato apertamente impegnato nell’annientamento di una nazione vicina e nella sottomissione delle altre vuole armi nucleari, qui scrolliamo le spalle: non ci si può fare niente. Nel 2007 l’allora presidente francese, Jacques Chirac, disse che la bomba atomica iraniana non avrebbe avuto alcuno scopo offensivo. “Dove dovrebbero tirare la bomba, su Israele?”, chiese Chirac. Dall’Eliseo disse anche che la bomba iraniana non era “molto pericolosa”. Forse solo un po’. Comune sentire delle cancellerie occidentali pronte a tutti gli accordi, engagement e appeasement. Di diverso avviso il premier israeliano che sulla parete dell’ufficio ha una mappa con l’Iran che incombe al centro. Teheran è l’ossessione di Benjamin Netanyahu da quando, seduto alle Nazioni Unite nel 1985, sentì l’ambasciatore iraniano chiedere che Israele venisse “escisso come un tumore canceroso” e “gettato nella pattumiera della storia”.
Nel 1996, quando il mondo ignorava l’esistenza di alcune centrali atomiche iraniane, Netanyahu iniziò a denunciare il pericolo
Nel 1996, quando fu eletto premier, Bibi iniziò a citare l’Iran durante gli incontri con i leader stranieri, che non capivano la sua fissazione (nessuno ancora conosceva l’esistenza di Parchin o Fordow, due impianti nucleari iraniani). Sempre nel 1996, durante una visita al campo di concentramento di Bergen-Belsen, Netanyahu parlò dell’Iran come di una reincarnazione della Germania nazista. Visitando la Cina, implorò il presidente Jiang Zemin di non permettere alla Repubblica popolare di vendere alla Repubblica islamica attrezzature che avrebbero potuto aiutare gli iraniani nella loro ricerca nucleare. Poi Bibi mise in guardia dalla minaccia nucleare in un discorso al Congresso americano poco dopo essere diventato primo ministro per la prima volta: “Se l’Iran dovesse acquisire un’arma nucleare, potrebbero aversi conseguenze catastrofiche, non solo per il mio paese, ma per tutta l’umanità”. Nei tre anni successivi, Netanyahu avrebbe riorganizzato l’agenda dell’intelligence israeliana per concentrarsi su Teheran. “Con l’arrivo di Netanyahu, la questione iraniana ha preso il sopravvento nell’agenda del Mossad, con i suoi tre temi più importanti: Iran, Iran e Iran”, scrive Ben Caspit nella sua biografia del politico. “Tutta l’energia e le risorse di Israele sono state impegnate a questo scopo”. Come leader dell’opposizione israeliana dal 2006 al 2009, Bibi si è dato come missione personale quella di convincere i fondi pensione statali americani a disinvestire dalle partecipazioni iraniane. E da quando è tornato primo ministro nel 2009, ha guidato la campagna per le sanzioni contro l’Iran, iniziando a progettare un attacco militare unilaterale preventivo. Nel maggio 2009, meno di un mese dopo l’insediamento di Netanyahu, i media occidentali riportarono che l’aeronautica militare israeliana aveva simulato un attacco contro l’Iran. Nell’esercitazione, che includeva il rifornimento in volo, erano stati impiegati più di cento caccia F-15 e F-16. I caccia volarono verso ovest sopra il Mediterraneo, superando la distanza in volo verso i siti nucleari iraniani e ritorno. Secondo un alto funzionario del Pentagono, questa fu la prima indicazione delle intenzioni di Netanyahu.
Quando Obama legittimò il programma nucleare con gli accordi del 2015, Netanyahu si presentò alla platea dell’Onu a denunciarlo
Dopo che l’allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad chiese che Israele fosse “cancellato dalla mappa”, Netanyahu – allora leader dell’opposizione – definì il programma nucleare di Teheran “una seria minaccia per il futuro”. Quando tornò come primo ministro, Bibi ne fece la sua priorità. Farà prima campagna per le sanzioni paralizzanti a Teheran, si opporrà a Barack Obama sull’accordo del 2015 e farà pressioni su Donald Trump durante il primo mandato affinché si ritirasse dall’accordo.
Centrale nella sua visione sono le idee del compianto Bernard Lewis, amico del padre di Netanyahu, e tra i primi a parlare di atomica iraniana
A influenzare Netanyahu sull’Iran sarebbe stato Bernard Lewis, amico del padre di Bibi, lo storico dell’Inquisizione spagnola Ben Zion. Fu Lewis (1916-2018) già nel 1976, con un saggio comparso sulla rivista Commentary, ad aver anticipato “il ritorno della religione islamica come fattore politico di primaria importanza”. Tre anni dopo, puntualmente, arrivò la rivoluzione di Khomeini. E fu Lewis a intuire che la teocrazia di Teheran, salutata in occidente come una benefica rivolta contro lo Scià, era invece un fenomeno totalitario. Come a capire che Osama bin Laden rappresentava un pericolo mondiale e, in un articolo del 1990, a coniare l’espressione “scontro di civiltà”, che Samuel Huntington avrebbe reso popolare. Durante la Guerra Fredda, entrambe le parti possedevano armi di distruzione di massa, ma nessuna delle due le usò, scoraggiata da quella che era nota come “MAD”, “mutual assured destruction”, la distruzione reciproca assicurata. Secondo Lewis, questa teoria non funziona con l’Iran. “Lo stesso timore di una distruzione reciproca assicurata impedirebbe a un Iran dotato di armi nucleari di usarle contro Israele?”, scrisse Lewis. “Esiste una differenza radicale tra la Repubblica islamica dell’Iran e altri governi dotati di armi nucleari. Questa differenza si esprime in quella che può essere descritta solo come la visione apocalittica del mondo dei governanti iraniani”. Netanyahu ha tradotto in politica le sue idee.
In prima serata, durante il popolare programma “Uvdà” della giornalista investigativa Ilana Dayan, è andata in onda la verità sul primo mancato strike d’Israele all’Iran. In un giorno indefinito del 2010, Netanyahu, assieme al ministro della Difesa Ehud Barak, ordinò all’esercito il livello “P +”, ossia prepararsi all’attacco alle centrali atomiche dell’Iran. Il raid fu evitato per la ferma opposizione dell’allora capo di Stato maggiore, Gabi Ashkenazi, e del capo dei Servizi segreti, Meir Dagan. Ashkenazi portò invece a giustificazione l’impreparazione delle forze armate a un attacco di tale portata, a tanti chilometri di distanza. Barak ha confermato il rapporto di Ilana Dayan, dicendo che i militari non erano in grado di colpire l’Iran: “Al momento della verità, la risposta fu che non erano in grado”, ha detto Barak. L’allora presidente israeliano Shimon Peres rilasciò una serie di interviste. “E’ chiaro che non possiamo farcela da soli, possiamo rimandare lo sviluppo nucleare dell’Iran, ma è chiaro che dobbiamo procedere insieme all’America”. Ha esortato gli israeliani a fidarsi di Obama, che un mese prima aveva insignito Peres alla Casa Bianca della Medaglia presidenziale della Libertà. Negare all’Iran le armi nucleari, disse Peres, “è un interesse americano e Obama lo capisce. Non lo dice solo per farci sentire bene”.
Peres non ha citato Netanyahu, ma il discorso era chiaro. E Bibi furioso. I sostenitori di Netanyahu ai media dissero: “Peres ha dimenticato di aver promesso un nuovo medio oriente dopo Oslo e invece un migliaio di israeliani sono stati assassinati”. Peres, dicevano, si era opposto anche al bombardamento di Osirak, che aveva salvato Israele e il mondo dalla bomba di Saddam Hussein. Nel gennaio 2012, Israele informò improvvisamente gli Stati Uniti di aver annullato la grande esercitazione militare congiunta prevista per quell’estate in Israele. L’esercitazione era stata pianificata molto tempo prima. Barak, ministro della Difesa, chiamò il segretario alla Difesa americano Leon Panetta e chiese un rinvio. Quando Panetta insistette per conoscerne il motivo, Barak borbottò qualcosa sul fatto che Israele non voleva “mettere in imbarazzo gli Stati Uniti”, che era un “brutto momento” per le forze statunitensi trovarsi in Israele. Panetta ripeté la posizione degli Stati Uniti: non vi è permesso attaccare l’Iran, solo noi possiamo farlo; non avete la capacità di farlo, ora non è il momento giusto.
Il 9 novembre 2012 Netanyahu ordinò la simulazione dell’attacco alle centrali atomiche iraniane realizzato il 13 giugno 2025
Gli strateghi della Difesa israeliana si sarebbero riuniti per il “war game”, simulazione della guerra all’Iran. L’incontro è avvenuto al National Institute of Security Studies, nella periferia di Tel Aviv il 9 novembre 2012, una settimana dopo le elezioni per la Casa Bianca che confermarono Obama. Gerusalemme attacca a sorpresa i siti iraniani, senza preavviso o aiuto degli americani. Teheran risponde lanciando missili Shahab 3 su Tel Aviv, uccidendo 75 civili. Washington innalza il livello di allerta delle proprie truppe in tutta la regione e difende lo stato ebraico dalle risoluzioni dell’Onu. L’aviazione d’Israele porta un secondo attacco alle centrali iraniane. All’unisono si chiama alla “stabilità nella regione”, mentre dei siti nucleari iraniani restano solo macerie. Tutto rimandato, fino al 13 giugno 2025, il culmine di una lotta personale e ossessiva, che dura da oltre trent’anni.
Netanyahu per molto tempo è stato deriso. I critici lo definivano allarmista, isterico, messianico, uno che esagerava la minaccia, forse persino per un tornaconto politico. Eppure, Bibi ha perseverato. Non ha mai smesso di avvertire che Israele non poteva e non avrebbe permesso a un regime che ne invoca apertamente la distruzione di acquisire i mezzi per attuarla. L’Associated Press poi venne in possesso di un diagramma che replicava la simulazione computerizzata degli effetti di un ordigno iraniano “tre volte più potente di quello di Hiroshima”. Si tratta di una funzione gaussiana con variabili di tempo espresse in millisecondi e valori rappresentanti in kilotoni. L’Agenzia atomica dell’Onu aveva citato questi diagrammi, senza diffonderli. A produrre i diagrammi erano stati tre scienziati iraniani. Uno, Majid Shahriari, era uno dei pochi in grado di arricchire l’uranio, prima che sicari (si dice del servizio segreto d’Israele) lo uccidessero a Teheran con una bomba “adesiva” attaccata alla sua auto. Il secondo scienziato è Mohsen Fakhrizadeh, anche lui ucciso. Il terzo scienziato citato nei diagrammi è Fereidoun Abbasi, capo dell’Iran Atomic Energy Organization, l’agenzia che ha in mano i destini della bomba degli ayatollah. Davani è stato ucciso da Israele il 13 giugno scorso.
“L’Iran è il nuovo Amalek che apparirà nella storia per provare, ancora una volta, a distruggere gli ebrei”, disse Netanyahu di fronte ai resti delle camere a gas di Birkenau. “Ricorderemo sempre che cosa ci ha fatto l’Amalek nazista. Non dobbiamo dimenticare d’essere pronti ad affrontare i nuovi amaleciti. E’ come il 1938, e la nuova Germania è l’Iran”. Vent’anni fa, quando ancora non si parlava di Fordo, Isfahan e Natanz, Netanyahu pubblicò un libro dal titolo “Fighting Terrorism”, in cui scriveva: “Il mondo è di fronte a un abisso e una volta che l’Iran avrà acquisito armi atomiche nulla può escludere che possa spingersi verso l’irrazionalità”. Al culmine del fervore israeliano per un possibile attacco all’Iran, Obama giunse alla conclusione che le condizioni erano mature per i negoziati con gli iraniani. I preliminari tra Stati Uniti e Iran iniziarono nel 2013 sotto forma di negoziati segreti in Oman, sotto l’egida del sultano Qaboos. A Washington decisero di non informare Israele. Israele sapeva che aerei americani stavano atterrando in Oman. E Netanyahu si infuriò. A quel punto, Israele era convinto che l’obiettivo di Obama fosse quello di legittimare il programma nucleare iraniano e garantire agli ayatollah l’ammissione al club. Con un pennarello, Netanyahu si presentò alla platea dell’Onu e tracciò una linea rossa sul disegno di una bomba atomica. Ha scandito che gli iraniani erano al settanta per cento del lavoro. Disse anche che lo stato ebraico dovrà attaccare prima che gli iraniani arrivino a completare il novanta per cento del processo di arricchimento dell’uranio. Washington si era data una linea rossa diversa: aspettare l’ordine della Guida suprema Ali Khamenei. Per gli americani la red line è l’arricchimento dell’uranio al 93 per cento oppure un ordine dell’ayatollah di assemblare la bomba.
Netanyahu non avrebbe permesso agli iraniani di diventare uno stato “threshold”. E Bibi non si fidava della capacità americana di identificare in tempo il punto di non ritorno nel programma atomico iraniano. Hanno fallito sulla Corea del nord. Per capire questa mentalità israeliana si deve sfogliare un altro libro di Netanyahu scritto nel 1993, “A Place Among the Nations: Israel and the World”, in cui il futuro primo ministro, pensando all’Iran, parla del “tradimento del sionismo da parte dell’occidente”. In un capitolo dal titolo “Betrayal”, il tradimento, Netanyahu scrive che la Gran Bretagna, “gli arabisti del Foreign Office”, “abbandonarono gli ebrei sull’orlo dell’annientamento”. Un altro capitolo è dedicato a Ze’ev Jabotinsky, il padrino della destra israeliana che vide la debolezza del liberalismo weimariano e il suo irenismo cosmopolita. Il passo preferito da Netanyahu è quello in cui Jabotinsky cita Thomas Hobbes: “Saggio è stato il filosofo che ha detto ‘homo homini lupus’. E tenere sempre il bastone in mano è l’unico mezzo per sopravvivere in questa guerra di lupi”. Non è ancora chiaro come finirà in Iran, ma se il regime degli ayatollah dovesse crollare, Netanyahu potrebbe aggiungerlo alla lista dei regimi (Hamas, Hezbollah, Assad) che in due anni ha fatto o visto cadere sotto il bastone d’Israele. E anche molti di quelli che gli hanno dato dell’allarmista e disegnano funghi atomici tireranno un sospiro di sollievo.