
Khaled Diyab davanti ai resti di un drone iraniano precipitato sulla sua casa di Inkhil (foto Ali Haj Suleiman)
Reportage tra le nuove macerie
Dopo i missili di Assad, sulla Siria piovono quelli di Israele e Iran
“Non c’è pace per noi se Israele e Iran sono in guerra”. I missili lanciati dall’Iran e intercettati dagli israeliani si schiantano sulle case dei siriani. A metà strada fra due fronti opposti. Sharaa resta in silenzio
Nelle campagne del sud della Siria si alzano gli occhi al cielo per scrutare i bagliori dei missili iraniani intercettati dagli israeliani. Piovono giù e illuminano il cielo, ma per la prima volta da quattordici anni, a Inkhil i residenti sono spettatori di una guerra che non li riguarda. Sebbene stavolta non si tratti delle bombe scagliate dalle forze del regime di Bashar el Assad, i missili iraniani non fanno meno paura. “Non so descrivere il terrore che vedo negli occhi di mia figlia di 11 anni quando sente il suono degli aerei e le esplosioni”, racconta Raed al Asi, membro del consiglio municipale di questo piccolo villaggio.
“Provo a convincerla che non siamo noi i bersagli, ma non so nemmeno io se crederci davvero”. Questa guerra non è la loro, o almeno così dovrebbe essere, ma per una tragica coincidenza la Siria si ritrova a metà strada tra i due fronti contrapposti del conflitto tra Israele e Iran. I resti dei missili balistici lanciati da Teheran e intercettati dalla difesa israeliana precipitano al suolo nel nord e nel sud della Siria, uccidendo e distruggendo ancora queste terre martoriate. Per Raed, prevale la rassegnazione. “Le persone qui non hanno più nemmeno paura di essere degli obiettivi, siamo semplicemente cresciuti abituandoci a essere coloro che perdono le guerre degli altri. Non può esserci pace per noi se Israele e Iran continuano a scontrarsi nella regione”.
A Quneitra, Nawa, Jassem, Khirbet Qais, al Sanamayn, Qahaniya, al Rafid si sono contati diversi episodi simili, con i resti di missili e droni precipitati sulle case abitate. Nel nord della Siria, a Tartus, una donna è morta per l’esplosione di una testata iraniana caduta sulla casa dove viveva. Nonostante la sua giovane età, Samer Abu Hussam ha imparato a maneggiare gli esplosivi che piovono dal cielo e ha appena rimosso un contenitore di gasolio lanciato da un jet militare israeliano su una casa del villaggio. “Dopo 14 anni di bombardamenti costanti ho imparato, mi basta dare un’occhiata per dirti se i resti di un esplosivo hanno un detonatore attivo. Se vedo una spoletta, non mi avvicino”. Ma non ci si fa mai abbastanza l’abitudine, dice Samer, e il nuovo conflitto fra Israele e Iran rivela come le ferite lasciate dalla guerra civile in Siria siano ancora aperte. “Quando mi è stato detto che la casa di mio zio era stata colpita da un missile tutti i miei ricordi delle bombe barile di Assad sono riaffiorati. Allora sapevamo che ci stavano bombardando perché chiedevamo libertà. Ma oggi non sappiamo nemmeno perché stiamo pagando questo prezzo. Noi non c’entriamo nulla con questa guerra”. Khaled Diyab, il proprietario di una delle case colpite ha dovuto correre in fretta per salvare i suoi quattro figli subito dopo che un drone dell’Iran è precipitato sulla sua casa, distruggendola. “Ho perso tutto, persino alcuni documenti e i soldi che avevamo sono andati in fiamme, la nostra vita è distrutta. Proteggere i civili israeliani significa distruggere le nostre vite? E perché? Valgono meno delle loro?”.
Mentre il mondo arabo ha condannato immediatamente l’attacco israeliano contro l’Iran, il governo siriano guidato da Ahmed al Sharaa è rimasto in silenzio. Una neutralità sorprendente per il leader islamista, impegnato nell’ardua impresa di liberarsi dalle ombre che getta il suo passato, compromesso dalla vecchia militanza in al Qaida e nello Stato islamico. Per Sharaa la guerra tra Israele e Iran offre un’opportunità politica preziosa. Pazienza se gli israeliani sono apertamente ostili alle nuove autorità di Damasco, se quotidianamente dal dicembre scorso le incursioni di terra sottraggono territorio alla nuova Siria, se le basi militari sono bersagliate dai bombardamenti israeliani: l’odio di Sharaa per il regime iraniano sembra prevalere sulle aggressioni preventive dello stato ebraico. E non esiste forse una dimostrazione più lampante di questo silenzio per dimostrare quanto sembri definitivo oggi lo sgretolamento di quello che un tempo era l’Asse della resistenza. La promessa fatta a Riad il mese scorso in occasione dell’incontro storico tra Sharaa e Donald Trump – la rimozione delle sanzioni in cambio, tra le altre cose, di una graduale normalizzazione delle relazioni tra Siria e Israele – continua a essere onorata dalle autorità islamiste di Damasco. Dopo avere avviato dei negoziati diretti con lo stato ebraico per trovare una soluzione agli sconfinamenti nel sud della Siria, la guerra contro l’Iran è per Sharaa il banco di prova per dimostrare una volta di più che Israele deve cominciare a fidarsi di lui.
Ma davanti a una scelta razionale – la neutralità in cambio della rimozione delle sanzioni per ridare ossigeno a un’economia in frantumi – resta la necessità di dare delle risposte a quei siriani che ora pagano le conseguenze della guerra tra Iran e Israele. Per Navvar Şaban, ricercatore dell’Harmoon Center di Istanbul e specializzato nell’influenza iraniana in Siria, la guerra tra Israele e Iran è solo l’ultima dimostrazione di una totale assenza di sovranità sul territorio e nei cieli della nuova Siria. “Le nuove autorità hanno una necessità impellente di ricostruire i propri sistemi di sorveglianza e gli strumenti di deterrenza per proteggere i civili. Occorrerebbe coinvolgere la comunità internazionale affinché si riduca l’utilizzo dei cieli siriani in questo nuovo conflitto”, spiega Şaban. Ma la strada sembra ancora lunga e per ora la Siria resta un campo di battaglia dove si combattono le guerre degli altri.

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