I piani del Mossad per distruggere i missili, il nucleare e le sue menti

Micol Flammini

"Arrivare alla testa del serpente". Ecco come i servizi segreti e l'esercito di Israele hanno preparato l'operazione contro l'Iran, che in serata ha iniziato la sua vendetta 

Sono stati gli israeliani a tradurre in inglese il nome dell’operazione, in ebraico “Am kelavi”. La traduzione letterale sarebbe stata “Un popolo come una leonessa”, la frase è presa dal Libro dei Numeri della Bibbia. L’operazione per colpire il progetto nucleare iraniano però è stata presentata al mondo con il nome “Rising lion”, Leone che si erge, che si solleva, che nasce, come aveva profetizzato l’indovino Balaam, che paragonò la forza di Israele a quella di un leone: “Ecco un popolo che si leva come una leonessa e si rizza come un leone, e non si sdraierà finché non abbia divorato la preda”.

 

Il messaggio che Israele sta mandando con l’operazione contro il progetto nucleare iraniano è chiaro fin dal nome: attueremo la nostra deterrenza, non aspetteremo, come avvenuto il 7 ottobre, di essere attaccati, non lasceremo che i segnali si ammonticchino fino sommergerci. La notte tra giovedì e venerdì, Israele ha lanciato l’operazione “Leone che si solleva” seguendo quattro obiettivi: eliminazione degli alti funzionari del regime iraniano e scienziati di alto livello coinvolti nel progetto nucleare; attacco all’impianto nucleare di Natanz; attacco ai sistemi missilistici terra-terra di Teheran; bombardamenti a depositi di missili balistici e missili terra-aria nella parte occidentale dell’Iran. Nel pomeriggio, è iniziata una nuova ondata di attacchi contro Teheran e contro il sito nucleare di Fordo. La missione è ritardare il più possibile lo sviluppo da parte della Repubblica islamica dell’Iran di un ordigno atomico, per questo Israele ha colpito i siti nucleari più importanti, Natanz era già stato centrato in passato, è più vulnerabile perché più esposto, Fordo invece è scavato nella montagna e non è stato centrato, ospita tutte le centrifughe per arricchire l’uranio più evolute. I generali e gli scienziati colpiti erano tra gli uomini che spingevano per la realizzazione del nucleare a scopo militare e ne conoscevano i segreti e quindi sarebbero stati  in grado, anche dopo il colpo inferto da Israele, di rimettere in piedi il progetto.  

 

Il presidente iraniano Massoud Pezeshkian aveva detto che anche in caso d’attacco e di distruzione dei siti, sarebbero rimaste le menti in grado di ricominciare: Israele invece sta eliminando anche le menti. Ha creato un vuoto della leadership dei pasdaran, come aveva fatto con Hezbollah in Libano, colpendo uno a uno i capi, immobilizzando la capacità di reazione. L’Iran non è Hezbollah, la confusione si sa ricomporre con più rapidità. Un altro punto dell’operazione è colpire il programma missilistico per fiaccare e ritardare la risposta di Teheran, che ha promesso di portare l’inferno in Israele e la vendetta è arrivata in serata con varie ondate di missili dirette soprattutto contro il  centro di Israele, anche al centro di Tel Aviv, dove si trova l’edificio del ministero della Difesa. Ci sono stati almeno due impatti e sette feriti.   

 

Netanyahu ha detto che Israele ha iniziato a lavorare all’operazione a ottobre dello scorso anno, dopo l’uccisione di Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, sopravvissuto per diciassette anni alla caccia di Tsahal. Un attacco di portata così vasta ha bisogno di più tempo e Israele raccoglieva dati e informazioni da diversi anni. L’operazione porta la firma del Mossad, il servizio di intelligence che opera all’estero e ha come motto: “Quando non c’è una guida, una nazione cade, ma in abbondanza di consiglieri c’è sicurezza”. Il Mossad è l’unica agenzia non coinvolta nel fallimento del 7 ottobre e il modo in cui ha orchestrato l’attacco all’Iran, in collaborazione con l’esercito, aumenta la sua fama di infallibilità. I servizi di sicurezza sono riusciti a installare una vasta rete di agenti, che in questi anni hanno aiutato a identificare arsenali, punti di debolezza dei siti nucleari e missilistici e a esporre i  personaggi chiave da eliminare, colpiti anche dentro ai loro appartamenti. Non si sa se di questa rete di spie facciano parte anche cittadini iraniani contrari al regime e convinti che legarsi a Israele sia il modo più credibile per liberarsene. Il Mossad ha tenuto sotto controllo i generali e gli scienziati, ne ha seguito gli spostamenti. Ha disegnato sulla mappa le coordinate dei siti del programma missilistico e le ha portate all’esercito che ha eseguito gli attacchi. Gli agenti avevano allestito vicino Teheran una struttura per il dispiegamento di droni che sono stati utilizzati per colpire i lanciamissili della base di Espajabad e dopo l’operazione Ragnatela messa in atto dagli ucraini per colpire i bombardieri in quattro aeroporti militari russi si intravede un legame tra le azioni del Mossad in Iran e quelle dei servizi di Kyiv in Russia con i droni. 


Ogni buona operazione ha bisogno dell’effetto sorpresa, quindi necessita di un gioco politico all’altezza che è stato il primo ministro Benjamin Netanyahu a interpretare con una giusta dose di teatro: tutta la settimana si è concentrato sulle questioni politiche, su contrattazioni di maggioranza, sulla legge per dissolvere la Knesset minacciata dagli oppositori e da due partiti interni al governo. Giovedì ha accolto il presidente argentino Javier Milei, si è fatto vedere molto in pubblico, davanti al Muro del Pianto mentre depositava in un incavo un biglietto – solo dopo l’operazione è stato rivelato che sul foglio aveva scritto: “Il popolo si leverà come un leone”. La famiglia Netanyahu era distratta anche dal matrimonio del figlio Avner, previsto per lunedì. 

 

“Finora, abbiamo ritardato lo sviluppo del progetto nucleare iraniano di quindici anni – ha detto il generale Yaakov Amidror – dopo più di seicento giorni di guerra, sapevano che sarebbe arrivato il momento di colpire l’Iran, la testa del serpente”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)