
Ansa
La svolta a Bruxelles
Un anno dopo le europee, l'Ue si è spostata tutta a destra. Il peso dei Patrioti
In un anno, l’Unione europea ha virato nettamente verso destra, sotto la spinta del Ppe e della crescente influenza del gruppo dei Patrioti. La Commissione von der Leyen ha allentato le politiche ambientali e migratorie, inseguendo temi cari alla destra radicale
Bruxelles. Nella foga retorica contro l’Unione europea espressa durante la “Festa della vittoria” un anno dopo il successo alle elezioni europee, il francese Jordan Bardella ieri ha detto una verità. In un anno il gruppo dei Patrioti lanciato da Viktor Orbán è stato “in grado di pesare” a Bruxelles, ha spiegato Bardella, circondato dal premier ungherese, dalla compatriota Marine Le Pen, dall’italiano Matteo Salvini, dallo spagnolo Santiago Abascal e dal ceco Andrej Babis. “Sull’ecologia punitiva, sulla guerra ideologica di Bruxelles contro l’industria automobilistica, sulle norme che piombano le imprese, abbiamo condotto delle battaglie e ottenuto le prime vittorie”, ha detto Bardella, presidente dei Patrioti al Parlamento europeo e leader con Le Pen del Rassemblement national in Francia. “Grazie a noi le norme irrealistiche, imposte da burocrati che non hanno mai messo piede nelle industrie, sono state sospese” e “il Green deal è rimesso in discussione”. A sentire gli altri interventi sul palco allestito nei campi di Mormant-sur-Vernisson, piccolo villaggio di un centinaio di anime, diventato per un giorno la capitale dell’estrema destra europea, si sarebbe pensato il contrario. Le Pen ha definito l’Ue un “impero mercante, wokista, ultra liberale, contro le nostre nazioni”. “Abbiamo il dovere di lottare con tutte le armi della democrazia per ribaltare una Ue che ci vorrebbe indebitati, precari, colonizzati, impauriti”, ha detto Salvini. Ma Bardella ha ragione. In un anno, spinta dal Partito popolare europeo (Ppe), la Commissione di Ursula von der Leyen ha spostato l’agenda dell’Ue sempre più a destra. Fino a convergere con i Patrioti su temi come il Green deal e la politica migratoria.
La sera del 9 giugno del 2024, l’establishment dell’Ue aveva tirato un sospiro di sollievo. L’estrema destra aveva realizzato il miglior risultato di sempre alle elezioni europee. Ma non era riuscita a far saltare la maggioranza europeista formata dal Ppe, dai socialisti e dai liberali. “Il centro ha retto”, era stato il grido di vittoria del campo europeista. Il Ppe aveva rivendicato gran parte del merito. Era stato l’unico a non perdere seggi. Da quel momento, nonostante abbia ottenuto solo il 26 per cento dei seggi (contro il 18 per cento per i socialisti) è diventato la forza egemone nell’Ue, imponendo i suoi uomini e le sue priorità ai vertici delle istituzioni. In dodici mesi il Ppe è cambiato e, con lui, l’agenda della Commissione e dell’Ue. A luglio 2024 Ursula von der Leyen aveva ottenuto i voti di socialisti e liberali (e verdi) sulla base di linee programmatiche centriste. Aveva annunciato che la competitività era la nuova priorità, ma senza rinnegare il Green deal. Aveva promesso un approccio più duro alle frontiere esterne sull’immigrazione, ma senza mettere in discussione il rispetto del diritto internazionale. Invece, dalla sua entrata in funzione a dicembre, la Commissione von der Leyen 2 ha lanciato una serie di pacchetti “Omnibus” che smantellano parti importanti della regolamentazione climatica e ambientale, ha rinviato l’attuazione della legge sulla deforestazione e ha cancellato le multe contro i produttori di automobili che non rispettano gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Sull’immigrazione, ha presentato due proposte destinate a modificare in modo radicale l’approccio dell’Ue: la creazione di “return hubs” in paesi terzi per parcheggiare i migranti irregolari e la revisione del concetto di paese terzo sicuro per adottare il “modello Ruanda” che viola il principio del non respingimento sancito dalla Carta dei diritti fondamentali e dal diritto internazionale.
La passività di socialisti e liberali ha lasciato mano libera al Ppe, che usato abilmente la minaccia di un’alleanza con l’estrema destra per ricattare la coalizione europeista. La presenza al Consiglio europeo di Giorgia Meloni ha incentivato lo spostamento a destra dell’agenda dell’Ue. La nomina di 14 membri del Ppe nella Commissione von der Leyen II è stata strumentale. Tuttavia, alcuni denunciano un vizio istituzionale: accettando di essere lo Spitzenkandidat (il candidato capolista alle elezioni europee), von der Leyen è diventata la presidente che fa gli interessi del Ppe invece di quelli generali. “E’ nell’obbligo di dar seguito al suo impegno elettorale con il Ppe e i suoi elettori, invece di rispondere agli stati membri che l’hanno confermata e alla coalizione che l’ha sostenuta in Parlamento”, spiega al Foglio un ex responsabile della Commissione. La scelta di adottare una linea sempre più a destra è rivendicata dal presidente del Ppe, Manfred Weber, come il miglior argine contro l’estrema destra. Bardella ha altre idee. “L’influenza non basta”, ha detto il leader dei Patrioti. “L’ambizione non è correggere gli eccessi, ma di governare ovunque per ricostruire tutto”.


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