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il colloquio

Le colpe di Netanyahu e l'odio antiebraico che comunque lo precede. Conversazione con Joshua Cohen

Antonio Monda

Contro i cliché (genocidio, la parola che soffoca), contro il kitsch del linguaggio delle vittime o di quello del patriottismo. Parla il Premio Pulitzer Narrativa 2022

Prima di diventare popolare grazie a I Netanyahu, il romanzo con il quale è stato insignito del premio Pulitzer per la narrativa nel 2022, Joshua Cohen si era messo in luce come uno dei più lucidi e acuti osservatori di quanto avviene in medio oriente, e in particolare in Israele, dove passa ogni anno molti mesi. I suoi saggi, pubblicati con regolarità dal New York Times e dalla New York Review of Books, alternano lo sgomento all’ironia, che Cohen riesce a trovare, nonostante tutto, anche nelle situazioni più drammatiche: non si tratta solo della volontà di esorcizzare una tragedia che sembra eterna, ma anche di dimostrare che l’umanità non può e non deve mai scomparire del tutto. Chi non lo conosce può rimanere spiazzato in prima battuta da un approccio di questo tipo, ma si tratta in realtà dell’opposto del cinismo: l’angoscia per una situazione che sembra senza sbocco rappresenta per lui il buio nel quale la luce può arrivare nel modo più inaspettato, e questa capacità di illuminare e splendere è sempre e comunque patrimonio di ogni essere umano.  Quando lo invito a parlare di quanto sta succedendo in questi giorni in medio oriente è in partenza proprio per Tel Aviv, che definisce “mad sad / folle e triste”, insieme alla moglie Lee Yaron, apprezzata giornalista israeliana. Cerca di sorridere, ma non l’ho mai visto così tormentato: “Quello che sta avvenendo è una tragedia da tutti punti di vista”, mi dice, “perfino peggio di quanto avessimo potuta aspettarci, ed è impossibile non sentirsi direttamente coinvolti, del resto l’orrore arriva anche qui in America”.

Partiamo proprio dagli Stati Uniti: recentemente due addetti dell’ambasciata israeliana sono stati assassinati a Washington: quale è stata la sua prima reazione?
È tragico. È odioso. Quale altra reazione si può avere? Vorrei affermare che tutti gli assassinii sono “crimini d’odio” secondo la definizione giuridica americana, ma personalmente io sono convinto che ci sia qualcosa di più: quando avvengono omicidi di questo tipo la vittima finisce per essere uccisa due volte, fisicamente da colui che perpetra l’assassinio e spiritualmente dai media.

Si tratta di due omicidi che hanno anche l’elemento odioso della vigliaccheria. E si può affermare lo stesso riguardo alla molotov contro il corteo pro Israele in Colorado. Ritiene che ci troviamo di fronte a una nuova virulenta forma di antisemitismo?
Lei ritiene che sia forse più vigliacco e virulento del pogrom dei cosacchi in Ucraina, dei pogrom dei Centoneri in Russia, dei massacri delle crociate, della Shoah…?

Arriviamo subito al punto chiave: ritiene che Netanyahu e la sua politica sia responsabile di questa situazione? 
Netanyahu è stato primo ministro per un lunghissimo periodo, ma per quanto ne sappia, non lo era durante le crociate. L’odio nei confronti degli ebrei viene prima che esistesse Bibi. Prima che esistesse lo stato di Israele, prima che ci fossero i palestinesi.

Quanto sta facendo a Gaza è un orribile massacro: ritiene che Netanyahu abbia una sua agenda che vada ben oltre la difesa del proprio popolo? 
Ognuno ha una propria agenda, ce l’ho io e ce l’ha anche lei. Il fatto che Netanyahu sia un capo di stato, lo rende per questo differente? Bibi vuole sopravvivere politicamente e vuole anche che il suo stato sopravviva. Il problema (o un problema) è che ha confuso le due cose. In questo caso si applica L’État, c’est moi, quell’affermazione che probabilmente Luigi XIV avrebbe definito “fake news”.

Ritiene che avesse opzioni alternative a quella violenta che sta mettendo in pratica?
Certo che le ha, ovviamente le ha, ma nessun’altra opzione lo avrebbe lasciato al potere.

Considerando le decine di migliaia di persone che sono state massacrate questo è a dir poco agghiacciante.
Certo che lo è.

Parallelamente un politico italiano ha parlato della “retorica del 7 ottobre”. A mio modo di pensare un’espressione abominevole…
Ogni fenomeno, ogni storia ha una sua retorica. Ma ho l’impressione che il caso a cui fa riferimento questo politico non fosse una critica, ma piuttosto un insulto. Per quanto mi riguarda, ogni linguaggio pubblico è un cattivo linguaggio, che si tratti del linguaggio delle vittime o di quello del patriottismo. O peggio, il linguaggio delle vittime tradotto nel linguaggio del patriottismo. E’ kitsch, tutto questo è kitsch. Da qualunque lato, dal fiume al mare e ritorno. In questa situazione detesto i discorsi, le conferenze stampa, e detesto persino i canti di protesta e le poesie sugli alberi di ulivo.

Molti usano il termine genocidio su quanto sta avvenendo a Gaza. Che ne pensa? Se non è d’accordo con questa definizione, quale userebbe?
Ecco, è esattamente quello di cui sto parlando: il cliché. La parola che racchiude tutto. La parola che soffoca. Io non credo che il popolo di Israele e perfino il suo attuale governo voglia massacrare tutti i palestinesi o tutti gli abitanti di Gaza. Ma sono convinto che il popolo israeliano, e in particolare il suo attuale governo, non voglia uno stato palestinese. Per quanto riguarda Hamas: è l’unica entità governativa che mi venga in mente che considera i suoi elettori più o meno come entità sacrificabili. Le cito cosa che ha detto ai media Libici Sami Abu Zuhri, capo del Political Department Abroad di Hamas: “Il numero di neonati a Gaza equivale al numero di martiri uccisi in questa guerra” e i civili morti sono “il prezzo che dobbiamo pagare”. Quindi ad Hamas non interessa affatto sacrificare gli abitanti di Gaza, e all’Iran non interessa affatto sacrificare la leadership di Hamas… A Israele poi non interessa affatto che siano i civili a essere uccisi, soprattutto se agli Stati Uniti non interessa affatto che Israele uccida i civili. A questo si aggiungono coloro che odiano gli ebrei in America e in Europa, i quali fingono di avere a cuore le vittime civili, ma in realtà solo perché odiano gli ebrei, E infine, ci sono gli ebrei stessi che fingono di non fregarsene della conta delle vittime, perché non vogliono aiutare coloro che li odiano. 

Sta crescendo in tutto il mondo una mobilitazione di fronte all’orrore di quanto sta avvenendo a Gaza. Qual è la sua opinione sulle manifestazioni a favore della Palestina nelle università americane?
Sull’orrore, terribile, di quanto sta avvenendo, mi sono già espresso. Sulle manifestazioni nelle università americana, penso che sia un’attività sociale salutare, e per come la vedo io è la versione della danza per questa generazione. Spero che generi un cambiamento politico o almeno del buon sesso.

E cosa pensa delle manifestazioni israeliane contro la politica attuale del governo?
Coloro che scendono in piazza sono coraggiosi.

Un fenomeno inaspettato è stato quello di manifestazioni palestinesi contro Hamas: cosa ne pensa?
Costoro sono ancora più coraggiosi, e di molto. Non riesco neanche a immaginare il coraggio che ci voglia per fare una cosa del genere... 
Non crede che Trump stia utilizzando le degenerazioni antisemite di alcune dimostrazioni a favore della Palestina per attaccare e controllare le università? 
Certamente. È sempre stato così, gli ebrei sono sempre stati degli strumenti, delle armi che la nobiltà ha utilizzato per attaccare i mercanti e che i mercanti hanno utilizzato per attaccare i contadini. Questo è il destino eterno del popolo tollerato. Il destino eterno del popolo ospite, e la prova che questo è ancora la nostra condizione sia negli Stati Uniti che in Europa. 

Ritiene che l’antisemitismo sia una costante della condizione umana?
È possibile. È probabile. Io ho la sensazione che se tutti gli ebrei del mondo morissero domani due giorni dopo esisterebbe comunque l’antisemitismo. 

Ritiene che il razzismo sia una costante della condizione umana?
Dovrei darle la stessa risposta. Sembra che noi essere umani abbiamo bisogno di un meccanismo di differenziazione, un modo di classificare e categorizzare, come strumento di autodifesa. Il razzismo sembra essere il sistema euristico più a buon mercato e più stupido. Il metodo più idiota per catalogare e separare. Per usare la retorica dell’11 settembre: quelli che sono “con noi” contro quelli che sono “contro di noi.”

Qual è la sua valutazione su quanto sta succedendo in America da quando Trump ha conquistato il nuovo mandato? Alcuni parlano di una nuova forma di maccartismo.
Sì, potrei essere d’accordo, anzi lo sono. Come faccio a non esserlo? Intendo che in fondo abbiamo già vissuto altri tradimenti di princìpi fondamentali, vogliamo dimenticarci ad esempio la guerra al terrore?

Come mai la sinistra sembra incapace di parlare alla maggioranza degli elettori mentre Trump ci riesce? 
Perché le bugie di Trump sono dette con onestà: ha l’onestà della crudeltà.

Nelle interviste precedenti, ho parlato con David Remnick e Margo Jefferson del fascino, specie tra i giovani, dei leader più estremisti: ritiene che una radicalizzazione possa portare a una nuova sconfitta?
È esattamente quello che sta succedendo.

E allora, secondo lei, da dove dovrebbe ricominciare la sinistra?
Io non riesco neanche a sapere se esiste ancora la sinistra. Certo, non lo è il Partito democratico.

Un altro argomento trattato con coloro che hanno partecipato a queste interviste è l’inevitabilità in America di un fenomeno come Trump.
Io ritengo che un fenomeno del genere sia inevitabile in un paese dove l’ignoranza viene premiata.

Le fake news, o, per usare un linguaggio dell’Amministrazione Trump, le verità alternative, sembrano avere la stessa rilevanza della realtà: c’è modo di fermare questo fenomeno?
No.

C’è un libro che ci può aiutare a comprendere quanto sta succedendo in America?
La Bibbia di Trump

Prego?
La Bibbia con il sottotitolo “God Bless the Usa”. Un’antologia di testi che mette insieme la Bibbia nella versione di Re Giacomo, la Costituzione degli Stati Uniti, la Dichiarazione di Indipendenza il giuramento di fedeltà e alcune citazioni da Trump. È stata realizzata dal cantante rock Lee Greenwood con l’approvazione di Trump che l’ha utilizzata durante la sua campagna elettorale. Con successo.

Come spiegherebbe Trump un bambino di 10 anni?
Non glielo devo spiegare, perché Trump stesso ha 10 anni. Lo riconoscerebbe subito.

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