Perché l'Ucraina e i paesi europei hanno il freno a mano tirato con Xi Jinping

Giulia Pompili

Il ricatto di Pechino: nessuno ha la forza di inchiodare la Cina alle sue responsabilità

L’Ucraina, come gran parte dei governi di paesi europei, sta cercando di mantenere aperti tutti i canali diplomatici diretti con Pechino sperando di non alienarla del tutto. Ma per farlo, è costretta a subire il fatto che la Cina stia aiutando la macchina della guerra di Putin. Secondo alcune fonti sentite dal Kyiv Independent, il governo di Volodymyr Zelensky starebbe ancora valutando nuove sanzioni da imporre ad aziende cinesi che forniscono materiale bellico alla Russia, ma in questa fase particolarmente delicata sta prendendo tempo, nella speranza che la leadership di Xi Jinping si muova a suo favore. 

 

 

Da tempo gli analisti discutono sul ruolo che potrebbe davvero avere la Cina nell’eventuale negoziato per la pace. E si discute soprattutto sull’effettiva influenza che potrebbe avere il leader cinese Xi Jinping sul presidente della Federazione russa Vladimir Putin: non tutti sono dell’idea che Pechino abbia davvero la possibilità di fermare la guerra. Di certo, però, c’è che la Cina ha continuato in questi anni a sostenere l’industria bellica russa, e gli scambi commerciali fra i due paesi sono fondamentali per l’economia di guerra del Cremlino. Inoltre, il continuo riferimento al rafforzamento delle relazioni bilaterali da parte dei funzionari di Mosca e Pechino è un successo propagandistico per Putin. 

 


Eppure l’Ucraina ha sempre mantenuto un atteggiamento piuttosto neutrale nei confronti della Cina, per evitare una chiusura totale delle relazioni: nel 2021 il fatturato commerciale tra Kyiv e Pechino è stato di 18,97 miliardi di dollari, ma negli ultimi tre anni ci sono stati diversi accordi di collaborazione economica – l’ultimo è stato firmato a marzo, per l’export di piselli e prodotti di acquacoltura ucraini verso la Cina. L’anno scorso, le importazioni dalla Cina verso l’Ucraina hanno toccato i 14,5 miliardi di dollari, dai 10,44 miliardi di dollari del 2023. Per preservare questo rapporto economico, utile anche su un piano   politico come dimostrato dalla missione dell’ex ministro degli Esteri Dmytro Kuleba in Cina poco meno di un anno fa, Kyiv non ha mai accusato esplicitamente Pechino di sostenere la guerra. Fino a poco tempo fa, quando c’è stato un cambio di passo nelle esternazioni del governo. 

 

A metà aprile l’Ucraina ha imposto sanzioni contro tre aziende cinesi – la Beijing Aviation And Aerospace Xianghui Technology, la RuiJin Machinery   e la Zhongfu Shenying Carbon Fiber Xining – perché accusate di vendere componenti essenziali alle Forze armate russe, anche per fabbricare i famigerati missili balistici Iskander. Pochi giorni prima, Zelensky aveva ufficializzato la presenza tra i mercenari di Putin di “almeno 155 cittadini cinesi”. Secondo l’intelligence ucraina ce ne sarebbero molti di più, attivi nelle zone di conflitto ma anche come dipendenti di aziende per la produzione di droni, e Zelensky aveva più volte ribadito il sostegno ombra della Cina alla Russia.
Adesso però, con l’evidente volontà cinese di restare fuori da qualunque negoziato per la pace – al di là di una goffa proposta “in dieci punti” di qualche tempo fa, la vicinanza di Xi a Putin è stata cementata il 9 maggio scorso sulla Piazza Rossa di Mosca – a Kyiv circola un dubbio: cosa fare con la Cina, continuare ad aumentare la pressione imponendo nuove sanzioni e minimizzando le relazioni bilaterali oppure continuare a chiudere gli occhi sul suo ruolo?

 


E’ lo stesso dubbio che hanno i leader di diversi governi europei – anche se non combattono per la loro diretta sopravvivenza e per l’incolumità dei loro cittadini. A metà novembre scorso a Bruxelles i ministri degli Esteri dell’Ue avevano discusso di una “prova d’intelligence” che dimostrava come la Cina stesse rifornendo di droni le Forze armate russe, eppure anche dopo quei documenti, le relazioni fra l’Europa e Pechino sono proseguite normalmente. E’ il grande successo di Xi Jinping: in quindici anni è riuscito a costruire relazioni con il resto del mondo occidentale basate prima sull’opportunità e poi sulla preoccupazione di potenziali reazioni cinesi. Un esempio su tutti: martedì scorso il ministro della Difesa Guido Crosetto era a Berlino alla riunione ministeriale dell’Onu sul Peacekeeping, e lì ha avuto un bilaterale con il suo omologo cinese Dong Jun, con cui, secondo la dichiarazione ufficiale del ministero, Crosetto ha avuto un “proficuo dialogo sulla disponibilità a esplorare nuove possibili collaborazioni nelle missioni di pace”. Il ministero della Difesa cinese è la principale causa di destabilizzazione dell’area dell’Indo-Pacifico, e negli ultimi mesi, per decisione politica proprio di Crosetto, l’Italia ha effettuato per la prima volta diverse missioni navali nella regione, anche in funzione di contenimento anti Cina. L’incontro con Dong Jun non ha toccato le attività assertive e di destabilizzazione della Cina – anche nel suo sostegno alla Russia – “per diplomazia: non era il luogo adatto”, ha spiegato una fonte della Difesa al Foglio. Eppure è proprio questa la debolezza occidentale e la grande capacità cinese, quella di sfilarsi dalle sue responsabilità ogni volta che può.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.