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L'intervento
Parere contrario. Le banalizzazioni da evitare sul black-out spagnolo
Che ci siano dei punti importanti da risolvere e vuoti normativi da colmare è un fatto incontrovertibile, ma la scelta politica di puntare sulle rinnovabili e di uscire dal nucleare è assolutamente sacrosanta e sta dando frutti positivi in Spagna
Al direttore - Nel suo lungo articolo sul Foglio sull’“apagon” spagnolo, molto interessante, documentato e dettagliato, Carlo Stagnaro conclude che in fin dei conti il black-out è stato provocato da un fallimento del sistema spagnolo, fino a qualche giorno fa un “modello”, perché dipende eccessivamente da rinnovabili istallate in modo “scriteriato”. Quindi il messaggio di fondo è che anche se non si sa esattamente la causa scatenante, il motivo di “sistema” che ha portato all’apagon è un modello energetico basato sulle energie rinnovabili, che non sono sicure.
Non condivido questa conclusione, soprattutto considerando che in Spagna il prezzo dell’energia per cittadini e imprese è molto più basso del nostro, che l’economia cresce 4 volte più che in Italia e che la Spagna è un paese molto attraente per gli investitori esteri; peraltro, l’elettricità è tornata abbastanza rapidamente e non certo grazie al nucleare (5 centrali sono ancora spente); il giorno dopo il black-out l’elettricità spagnola era prodotta per l’84 per cento da rinnovabili e il prezzo era il più basso d’Europa.
Insomma, se parliamo in termini di modelli, mi pare che quello italiano, che produce il 44 per cento della sua elettricità con il gas (contro il 16 per cento della media europea), ha bollette altissime, vuole allegramente continuare a investire nei fossili, tornare al nucleare e sta rallentando le rinnovabili, contro le quali si è scatenata una campagna assurda e disinformata, sia molto meno convincente ed efficace, con o senza black-out.
Che ci siano dei punti importanti da risolvere, come l’adattamento delle reti e, come pensano nel governo spagnolo, anche vuoti normativi da colmare in particolare per ciò che concerne le responsabilità de las “electricas” in termini di reinvestimenti e obblighi di prevedere accumuli e batterie è un fatto incontrovertibile. Che ci sia l’urgente necessità di rafforzare le interconnessioni con il resto del continente superando la storica opposizione della Francia che, come dice Luigi Moccia, forse non vuole ritrovarsi in casa troppe rinnovabili a buon mercato di fronte al suo nucleare che sarà sempre più costoso, mi pare anche un fatto ovvio; come ovvio è che qualcosa di grave sia successo il 28 aprile, che è sicuramente costato agli spagnoli qualche milione di euro ( i numeri a seconda di chi li riporta sono molto diversi per ora…).
Ma la scelta politica di puntare sulle rinnovabili e di uscire dal nucleare è assolutamente sacrosanta e sta dando frutti positivi; peraltro, Stagnaro sostiene che le accuse al nucleare di non avere aiutato a risolvere il problema sono fuori luogo perché il nucleare non è fatto per funzionare “a fisarmonica” ma per dare energia in modo continuativo. Ecco, appunto: la sua rigidità è un’altra ragione per la quale il nucleare è forse poco adatto a un mondo che punta su energie rinnovabili ed efficienza. Stagnaro sostiene giustamente che ci saranno da fare ingenti investimenti e che la transizione costa. Assolutamente vero. Nessuno l’ha mai nascosto, anzi. Ma nessuna scelta energetica è gratis. Neppure quella scriteriata dell’Italia di puntare sul gas, su un nucleare “sicuro” che ancora non esiste o su tecnologie inesistenti come il CCS. Si tratta giusto di scegliere dove è meglio puntare le risorse. In tempi di emergenza climatica forse il modello spagnolo, con tutti i suoi limiti, rimane un esempio da seguire.
Monica Frassoni
Presidente European Alliance to Save Energy and European Center for Electoral Support