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La perdita del senso della vita
Francia e fine vita: tutti i pericoli della proposta di legge 1100
Dall'integrazione della morte nell'ambito della cura all'introduzione di un anno di carcere per chi impedisce di praticare o di informarsi sull'aiuto a morire. Un documento della Sfap sottolinea i pericoli che il testo di legge sul suicidio assistito e l'eutanasia nasconde, in attesa del voto finale
La Societé Française d’Accompagnement et Soins Palliatifs (Sfap) ha da poco pubblicato un testo di “Décryptage” (di “decodificazione”) sulla proposta di legge 1100 sul fine vita in discussione in questi giorni in Francia in attesa del voto finale. Chi segue la discussione che avviene in questi giorni in aula si rende conto dei tanti pericoli che il testo di legge nasconde e che la Presidente della Sfap Claire Fourcade non manca quotidianamente di sottolineare. Primo fra tutti l’idea di integrare la morte nell’ambito della cura. La proposta di legge inscriverebbe sia l’eutanasia che il suicidio assistito nel “Code de la santé publique” andando contro ciò che esprime sia l’attuale articolo 1110-5 (“gli atti medici sono atti di prevenzione, di diagnosi di trattamento e di cura”) sia il Codice di deontologia medica (“il medico [...] non ha il diritto di provocare deliberatamente la morte”). “L’aiuto a morire” – si legge nel Décriptage – “non è un atto medico” e la proposta di legge “provoca una pregiudizievole confusione rispetto alla coerenza che fonda la relazione di cura”.
La legge francese diventerebbe l’esempio di una progressiva perdita del senso della vita: i curanti verrebbero esclusi “dalla possibilità di un contratto di fiducia terapeutica che non preveda il compromesso con l’applicazione della morte provocata”, i farmacisti, anche ospedalieri, dovrebbero fornire “per obbligo legale e professionale i prodotti letali”, escludendo del tutto la possibilità di un’obiezione di coscienza. La legge di “uguaglianza e di fraternità”, come qualcuno vorrebbe definirla, prevederebbe anche il “delitto di intralcio”: chiunque dovesse tentare di “impedire di praticare o di informarsi sull’aiuto a morire con qualsiasi mezzo” potrebbe venir punito con una multa di 15 mila euro e un anno di prigione. Quanti di noi si salverebbero svolgendo a domicilio o in corsia il loro lavoro non viene detto ma si può facilmente immaginare. Anche i criteri clinici sarebbero talmente fluidi e sfocati da permettere fin da subito di allargare il campo della morte assistita a moltissime persone: “malattia grave e incurabile” è quella che potrebbe riguardare in Francia più di 10 milioni di persone, la “fase avanzata o terminale” non è definita dal punto di vista medico, “il rifiuto di un trattamento medico” diverrebbe in automatico criterio di elezione per suicidio assistito o eutanasia. Molti criteri soggettivi, si legge nel documento Sfap, sarebbero colti come occasioni di inserimento del paziente tra coloro che potrebbero scegliere di morire per mano altrui.
Prima ancora di entrare nel merito di “limiti” o “metodi” di aiuto a morire, la Sfap si preoccupa però di far capire che simili leggi sradicano letteralmente i principi dell’agire medico e minano alla base il concetto di relazione terapeutica che ha guidato per secoli il nostro agire. A questo proposito stupisce, anche in Italia, vedere tanti, compresi alcuni cattolici, voler optare per il “male minore” tollerando o talora invocando una legge che a furia di paletti riuscirebbe a “contenere i danni” pur permettendo l’aiuto attivo a morire. La Sfap e l’esperienza di altri paesi dove tali leggi sono realtà ci dicono, molto semplicemente, che nel tempo i limiti crollano e il campo di morte si allarga riducendo gli spazi di vita presenti fino alla fine.