Il colloquio

Perché Xi partecipa alla parata di Putin? It's the propaganda, stupid

Giulia Pompili

Mentre Xi Jinping sfila con Putin a Mosca per celebrare la vittoria del 1945, a Ginevra si apre il primo round di colloqui economici tra Stati Uniti e Cina dell’era Trump: tra dazi, selfie militari e ambiguità strategiche, Pechino si mostra dialogante in Europa e muscolare in Russia, ma resta sempre e solo dalla parte di sé stessa. Parla Marina Rudyak 

Sabato prossimo ci sarà il primo summit “del disgelo”, come l’hanno definito diversi osservatori, anche se ogni volta che America e Cina decidono di parlarsi difficilmente gli effetti dell’atteso “disgelo” sono immediatamente intuibili. Ieri il ministero degli Esteri cinese ha confermato che il vicepremier He Lifeng, vicino al leader Xi Jinping e molto ben considerato dagli investitori stranieri in Cina, a partire da domani sarà in Svizzera, a Ginevra, e lì sabato incontrerà per la prima volta il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, e il rappresentante del Commercio Jamieson Greer. Iniziano i colloqui sui dazi, dunque, e si iniziano a definire – anche dal lato americano – i ruoli di chi negozia fra Washington e Pechino. 

 


E non è un caso del destino, forse, se mentre il team di He si appresta a preparare il primo summit America-Cina della presidenza Trump, il leader cinese Xi sarà a Mosca ad assistere alla parata per l’ottantesimo anniversario del cosiddetto “Giorno della vittoria”, la fine della Seconda guerra mondiale. La parata quest’anno è importante a livello diplomatico per il presidente della Federazione russa Vladimir Putin, perché fra i tredici paesi che hanno inviato rappresentanze militari alla celebrazione di venerdì, quest’anno, per la prima volta c’è anche l’élite dell’Esercito popolare di liberazione, oltre a 29 tra capi di stato e di governo – non ci saranno le truppe nordcoreane né il dittatore nordcoreano Kim Jong Un, secondo gli analisti per ragioni di opportunità. Ieri i media di stato cinesi rilanciavano le immagini dei soldati russi che facevano la fila per farsi selfie davanti ai soldati cinesi, mentre i quotidiani di Partito rilanciavano le “importanti parole” sui conflitti globali di Xi Jinping, che “ha una profonda intuizione in materia di pace ed è sempre stato fermo nel promuovere la costruzione di un mondo di pace duratura e prosperità comune”, si legge sul Quotidiano del popolo. “Xi non poteva dire di no all’invito di Putin”, dice al Foglio Marina Rudyak, sinologa (di origini russe) dell’università di Heidelberg, una delle più importanti analiste europee sulle questioni contemporanee cinesi che ha appena pubblicato il libro “Dialogo con il Dragone: come l’empatia strategica verso la Cina può rafforzarci” (in tedesco, Campus Verlag). “Il governo cinese sta spingendo la narrazione di una Cina che era parte della Seconda guerra mondiale, che ha contribuito alla vittoria” – combattendo contro i giapponesi e contribuendo alla loro resa durante la seconda guerra Sino-giapponese. “In un mondo normale”, dice Rudyak, “forse ci sarebbe stata una celebrazione congiunta, collettiva, ma questo ovviamente per ora non può accadere. Ma per la Cina, più che una celebrazione delle relazioni russo-cinesi, si tratta di un grande evento di propaganda, che serve alla costruzione dell’immagine dell’Esercito popolare di liberazione come pacifico e di Pechino come potenza responsabile. Se guardiamo ai video diffusi in questi giorni, in parte possono essere per un’audience russa, ma quel che è certo è che il target di riferimento non siamo noi”. Una dimostrazione di forza e fermezza, insomma: “La Cina è sempre e solo dalla parte della Cina”, dice Rudyak, e non c’è un solo funzionario cinese oggi che, off the record, non dica quasi sussurrato che Pechino “non ha il controllo della Russia”. “Non condanna e non sostiene la guerra contro l’Ucraina per un motivo. Perché la più grande paura della Cina è che la Russia diventi troppo debole, per esempio in Asia centrale. Vuole la Russia stabile per avere anche i suoi confini al sicuro”. 

 


Il problema riguarda sempre le informazioni e l’interpretazione di quello che vuole davvero la leadership cinese: si pubblicano saggi a volte al limite della fantasia, si scrivono articoli, ma perfino l’intelligence occidentale – quella americana in primis – ha difficoltà oggi a raccogliere informazioni credibili sulla leadership di Pechino. Secondo la sinologa uno dei motivi è che “abbiamo investito ancora troppo poco nell’analisi. Non basta soltanto sapere la lingua: serve sapere dove guardare ma anche interpretare e decodificare le fonti. E’ molto più difficile parlare oggi con le persone in Cina, certo, ma allo stesso tempo abbiamo un numero sorprendente di documenti online” – un effetto, dice Rudyak, della campagna anti corruzione di Xi. Solo che decifrarli non è sempre immediato. Intanto, fra l’arrivo di Xi Jinping a Mosca e dei suoi negoziatori a Ginevra per i colloqui con l’America, capire cosa c’è dietro alla strategia cinese è sempre più difficile.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.