
il racconto
A Chernihiv, tra gli ucraini liberati con i segni di torture addosso e le famiglie che aspettano i dispersi
Nella città settentrionale ucraina sono stati accolti 205 prigionieri ucraini liberati nello scambio con la Russia. Per molte famiglie dei dispersi, però, resta solo l’attesa e la speranza di notizie
Chernihiv. Il 6 maggio un centinaio di persone si sono radunate nei pressi dell’ospedale di Chernihiv in attesa dell’arrivo di quattro autobus con a bordo 205 prigionieri ucraini, liberati nel 64esimo scambio effettuato tra Russia e Ucraina. Le sorelle Inga e Anastasia hanno comprato una torta al cioccolato enorme per loro fratello Yuri Dobriev. Il 24 aprile ha compiuto 25 anni, e le due sorelle di Odessa sono qui per fargli i primi auguri dopo due anni di prigionia. Yuri ha trascorso tutto questo tempo in un campo di detenzione: “Chi è tornato prima di lui ha raccontato di aver mangiato una mela che dividevano in otto. Figuriamoci cosa avrebbero fatto con una torta”, racconta la bionda Inga, sta fissando il punto da cui arriveranno gli autobus con i soldati ucraini finalmente liberi.
Su internet sono già comparse le liste di nomi, sanno che ci sarà anche Yuri, e il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato sui suoi social network che lo scambio è avvenuto. Il resto delle persone presenti sono però parenti dei dispersi al fronte e non hanno nulla da festeggiare. La loro unica speranza è che coloro che tornano ora abbiano rivisto i loro cari nelle prigioni russe. In questo caso la prigionia non è la notizia peggiore: significa che la persona è ancora viva. Oleksandr Lyashenko, marito della trentasettenne Yana, è scomparso il 6 dicembre 2024 nella regione di Kursk. Non ci sono informazioni su di lui. “Sogno spesso Sasha. So che è vivo”, dice con sicurezza.
Yana vive nella regione di Sumy, a 40 chilometri dal confine con la Russia, con i suoi due figli, di 12 e 17 anni. E’ arrivata a Chernihiv assieme ad altre quindici donne della città di Krolevets. Anche loro hanno parenti dispersi in guerra. Stanco di attendere l’autobus, un uomo alto si siede sul marciapiede. Nelle sue mani c’è la fotografia di un ragazzo dai capelli scuri con la scritta: “Danilo Orlov, 1999. Nominativo ‘Aquila’”. Il venticinquenne chef di un ristorante di Kyiv è stato arruolato nell’esercito quest’inverno. Dopo due mesi di addestramento, è partito per il fronte e quattro giorni dopo è scomparso nella regione di Donetsk. Il padre crede che Danilo sia vivo, è uno dei suoi quattro figli. Un anno fa, il maggiore, che faceva parte dei servizi segreti, è morto in guerra.
Arrivano due ambulanze. Tutte le persone intorno gridano: “Gloria all’Ucraina!”. Tutti mettono da parte il loro dolore personale. Due uomini pallidi, con gravi ferite, vengono trasportati in ospedale su barelle. “Vi diamo il benvenuto!”, gridava la folla. Uno degli ex prigionieri è in silenzio, come se non notasse la folla che lo circonda e i suoi pensieri fossero rivolti lontano. Ma un altro, nonostante riesca a malapena ad alzarsi, dice con gioia: “Ho atteso questo momento per tre anni”. Dopo l’ambulanza compaiono gli autobus, da cui scendono duecento ucraini in abiti da carcerato, la maggior parte dei quali ha un’età compresa tra i 22 e i 25 anni. Ivan Zhitar, 24 anni, racconta cosa ha passato. Ci sono ustioni sulle sue mani e sono tracce di tortura. E’ stato catturato dieci mesi fa mentre cercava di portare via dal campo di battaglia un amico morto, combattevano nella zona di Chasiv Yar nel Donbas. Inizialmente, Ivan era stato portato in un centro di detenzione preventiva nella regione occupata di Luhansk, dove non ha subìto torture. Gli ultimi sei mesi li ha trascorsi in una prigione di Ufa, nella repubblica russa di Baschiria, dove, ha raccontato, operano “battitori di animali”. “Sono stato torturato per 8 ore. Hanno usato una pistola elettrica, poi mi hanno colpito alla schiena e mi hanno affogato la testa nell’acqua”, ricorda. L’unica cosa a cui ha pensato in quel momento è stato il suicidio. Zhitar non ha ancora chiamato i suoi famigliari, non vuole farlo fino a quando non sarà riuscito a riprendersi.
A Chernihiv c’erano poche famiglie dei soldati liberati. La notizia della liberazione arriva poco tempo prima che lo scambio avvenga e non molte persone riescono ad arrivare in tempo. Attorno al ventiduenne Roman Ivaniv ci sono la madre, il padre e la sorella minore. Lo ascoltano mentre racconta: “Mi svegliavo ogni giorno e pensavo a loro, e questo mi ha aiutato a sopravvivere”. “Finalmente questo orrore è finito”, dice il padre, abbracciandolo. A circondare i soldati al loro arrivo, sono soprattutto i parenti dei dispersi, interrogano chiunque accetti di ascoltarli. Dopo essere scesi dall’autobus, molti ex detenuti vengono portati subito in ospedale, dove verranno sottoposti a una prima visita medica e dove verranno nutriti secondo le loro necessità. Alcuni però, prima di correre via, rimangono per strada, studiano attentamente ogni fotografia che gli viene messa davanti agli occhi. “Uno di loro ha detto di aver visto un uomo prigioniero che assomigliava a mio marito”, esclama Tamara Mishchenko. Yuriy Kholod è scomparso il 20 settembre 2024 nella regione di Zaporizhzhia. “Voglio tanto credere che sia vero”, dice. Tamara tiene in mano una bandiera ucraina con la scritta: “Dispersi in azione non significa dimenticati”.
Per la maggior parte delle persone che si sono radunate a Chernihiv non ci sono buone notizie. Mentre alcuni abbracciano le loro famiglie e altri guardano le fotografie dei dispersi, Artem, 9 anni, piange, nascondendo il viso nella spalla della madre Marina. Suo padre, il marine 33enne Stanislav Pisanov, non ha fatto mai ritorno dalla prigionia, dove è tenuto da 3 anni. La famiglia è venuta qui da Vinnitsa, e ancora una volta se ne va senza niente. “Noi lo aspetteremo sicuramente”, dice Marina. Sta rassicurando il figlio e se stessa.