Sognare la democrazia
“Solo i giovani potranno scrivere il futuro della Georgia”. Parla Nino Haratischwili
La scrittrice georgiana parla di pace, con la speranza che dopo il voto cambi il governo senza violenze, portandosi dietro tutte le contraddizioni, le oppressioni e le censure che ricordano la Russia di Putin
A Roma c’è un ristorante georgiano dove si servono deliziosi khinkali (ravioli di brodo di carne) e kachapuri (un pane a forma di gondola con il formaggio e l’uovo), innaffiati da ottimo vino rosso e da vodka ucraina – non russa. L’oste sottolinea la provenienza dell’alcolico: forse con la testa è già alle elezioni del 26 ottobre, quando la Georgia dovrà scegliere tra essere un paese democratico e europeo oppure Sogno georgiano, il partito dell’oligarca Bizdina Ivanishvili, che vuole cancellare l’opposizione e il dissenso, diventare un vassallo di Putin, perseguitare la comunità Lgbt e rendere il cristianesimo ortodosso religione di stato. Nino Haratischwili, una delle voci più importanti del panorama letterario georgiano, dice al Foglio che cosa si aspetta da queste elezioni: “Mi aspetto che ci liberiamo di questo governo. Sono preoccupata, non abbiamo un’opposizione molto forte ed è una specie di bivio, la gente sa che abbiamo molto da perdere. Spero davvero che se ne vadano, e che lo facciano in pace”.
Haratischwili vive in Germania, scrive in tedesco ed è pubblicata da Marsilio: “La Luce che manca” ha vinto qualche giorno fa il premio Lattes Grinzano; “L’ottava vita” è un’opera-mondo, dal respiro e la struttura di un classico: la storia di una famiglia di Tbilisi si dipana in 1.300 pagine e in un secolo di storia della Georgia – e dell’Unione sovietica; “La Gatta e il Generale”, appena uscito in italiano, è un thriller su un episodio tragico della prima guerra di Cecenia e nasce dalla sua ossessione per i reportage di Anna Politkowskaja, la giornalista russa assassinata da Putin nel 2006. Haratischwili parla di pace perché vorrebbe che la storia smentisse se stessa: soprattutto in “La Gatta e il Generale”, dipinge un circolo di violenza, sopraffazione e corruzione che sembra impossibile da superare per i paesi dell’ex Unione sovietica. E’ possibile rompere questo circolo senza elaborare il passato? Persino il Generale cerca di farlo in qualche modo. “Credo sia un processo molto individuale. Per me è impossibile. Da giovane non avevo molta pazienza, mi chiedevo perché non avevamo elaborato la storia come avevano fatto i tedeschi, ma poi sono diventata più paziente, ho studiato e ho capito che la Georgia dalla sua indipendenza nel 1991 è stata occupata a sopravvivere. Se devi sfamare i tuoi figli e arrivare viva a fine giornata, non ti permetti il lusso di sederti e riflettere sul tuo passato. Inoltre i politici non si assumono le loro responsabilità: abbiamo ancora il museo di Stalin e dell’Armata Rossa!”.
In effetti a Tbilisi i busti di Stalin sono venduti come souvenir, perché evidentemente qualcuno se li compra. E a ovest, mentre personaggi come Lavrentij Berija, (l’esecutore di Stalin, capo dell’Nkvd, ha fatto uccidere centinaia di migliaia di persone, il Piccolo Grande Uomo in “L’ottava vita”) non sono neanche conosciuti, il comunismo è idealizzato ed è un’estetica pop alla moda. Su questo tema Haratischwili sta lavorando in questo momento, la sgomentano soprattutto i tedeschi, che hanno vissuto sotto il comunismo per 40 anni e ancora ne hanno nostalgia. “L’occidente non ha mai messo la crudeltà, il terrore e persino le vittime dell’est sullo stesso piano di quelle dell’ovest. Hitler è il male assoluto, Stalin sì è stato cattivo in qualche modo, ma ha vinto la guerra. I gulag non valgono come i lager. C’è una gerarchia della malvagità. Nessuno oserebbe discutere dell’ideologia del fascismo o del nazismo ignorando l’Olocausto, la storia. Per il socialismo e il comunismo si ignora tranquillamente la storia. L’Unione sovietica ha fatto più vittime del nazifascimo, c’è una lacuna immensa nella narrazione”.
Torna spesso sulla Germania, il paese in cui vive, è consapevole di essere la parte privilegiata della diaspora post sovietica: è arrivata qui per studiare teatro, non ha dovuto abbandonare la propria professione per accettare lavori di cura sottopagati e vivere ammassata con altre connazionali che mandano soldi a figli che vedono crescere su Skype. Parlava fluentemente tedesco e si è trovata a scrivere in questa lingua per praticità. Si è resa conto a posteriori che non scrivere in georgiano la aiutava a operare una distanza con la materia. “Il mio approccio è sempre quello della comprensione e per farlo ho bisogno della distanza, temporale, spaziale e linguistica – non potrei mai scrivere di eventi avvenuti ieri”. La materia di cui tratta è sempre la storia, del suo paese soprattutto. E’ stata plasmata da quello che è successo nella sua vita ed è cresciuta in un periodo molto difficile – il crollo dell’Urss, l’indipendenza della Georgia e degli altri paesi del blocco, le repressioni sanguinose, il far west economico, le guerre in Abcasia e in Ossezia sostenute e portate avanti da Putin – quindi le sembra naturale concentrarsi su eventi davvero grandi, su contesti epici, quasi mitici (in teatro ha scritto su Medea, eroina della Colchide e Ifigenia in Tauride, nome greco della Crimea). Nessun interesse per la vita quotidiana, tanto meno la sua. “Il dono più grande della scrittura è che posso vivere così tante vite diverse”.
La sua vita è quella di una cittadina dell’Unione europea: “Essere europea vuol dire assumermi la responsabilità della mia vita e dare valore a molte cose che ritengo preziose, per esempio la libertà di parola. Coesistere con persone diverse e fare parte di qualcosa di variopinto, anche se quelle persone non mi piacciono e non sono d’accordo con loro. La democrazia per me è essere innanzitutto responsabile di quello che faccio. E anche la libertà è una questione di responsabilità”. La democrazia in Georgia è in pericolo con l’ingerenza di Sogno georgiano e di Ivanishvili, che recentemente ha tenuto un discorso dietro un vetro antiproiettile perché aveva paura di un attentato – si è paragonato a Trump. “E’ ridicolo, ma non prenderlo sul serio è anche molto pericoloso. E’ eccentrico, colleziona pinguini e trasporta alberi millenari dall’Africa per piantarli in Georgia. Ufficialmente non comanda, per questo è così complicato. E’ come il padrino. Parla poco in pubblico, non ha nessuna posizione ufficiale ma ovviamente è il burattinaio sullo sfondo. E’ considerato un re e dice cose deliranti e contraddittorie: ancora oggi Sogno georgiano finge di essere europeo e orientato verso l’occidente, ma spinge la legge sugli agenti stranieri”. Si tratta della legge che vieta la presenza di organizzazioni internazionali in Georgia e che, di fatto, è un meccanismo molto potente per controllare i media, le ong, la società civile. E’ un passo grande verso la censura e la repressione e ha un precedente spaventoso: è quello che è successo in Russia nel 2012.
In Georgia le piazze sono piene di giovani che manifestano contro questa legge e per entrare in Europa. Qual è la differenza con le proteste delle democrazie in occidente e ancora con quelle in Georgia trent’anni fa? “Abbiamo 300 mila persone in strada, e siamo un paese di nemmeno cinque milioni di persone. C’è devozione. E’ diverso da trent’anni fa: oggi sono tutti davvero calmi e pacifici, perché tutti sanno che se la situazione degenera, questo diventa uno strumento di manipolazione nelle mani del governo. Negli anni Novanta sarebbe stato immaginabile. Il motivo per cui Severin – un personaggio dell’Ottava vita – è così impressionato dalla tenacia dell’impegno politico dei georgiani di fronte ai carri armati russi è che nei paesi occidentali le persone danno le cose per scontate. Lo faccio anche io”. E’ come la questione di un certo pacifismo. “Bah, bello il pacifismo, ma è lo stesso discorso di prima. Ho avuto una discussione quando alcuni intellettuali tedeschi hanno firmato una lettera perché non volevano inviare armi in Ucraina, ma latte in polvere. Se qualcuno ti punta una pistola alla testa, non vuoi il latte in polvere. E’ brutta la violenza, ma è la realtà. Non siamo a Woodstock. E’ facile mentre sorseggi un primitivo molto costoso dal tuo divano, ma se ti stanno bombardando e devi scappare, non puoi permetterti di essere pacifista”.
La guerra in Ucraina è uno strumento di manipolazione elettorale in Georgia. “Se chiedete per strada, nessuno direbbe: voglio tornare nell’impero russo. Ma dipende dalla generazione. I giovani sono severi, persino si rifiutano di imparare il russo. Ma i più anziani sono manipolati così dal governo: la volete la guerra? Volete l’Europa? Se ci sarà una guerra, guardate l’Ucraina, l’Europa non vi proteggerà, ecco perché dovreste essere gentili con i vostri vicini. L’ultima guerra che abbiamo avuto è stata la guerra russo-georgiana del 2008, in Ossezia. La gente è ancora traumatizzata – a oggi il venti per cento del territorio georgiano è occupato da Mosca. E poi ci sono le questioni religiose, un problema vero perché in Georgia la destra è forte: hanno fatto una marcia per i diritti civili? La risposta è stata un Family day, con uomini a cavallo e donne in abito tradizionale”. E il giorno dopo l’adozione in Parlamento della legge per i “Valori della famiglia e tutela dei minori”, l’influencer e attivista per i diritti delle persone trans Kesaria Abramidze, icona queer, è stata uccisa. Haratischwili auspica che i giovani vadano a votare in massa il 26 ottobre, ha fiducia nelle nuove generazioni. Le ultime scene in “L’ottava vita” raccontano di una grande manifestazione a Tbilisi dove la voce narrante, Niza, finalmente ritrova Brilka, sua nipote adolescente, per cui ha scritto il libro. L’ottava vita raccontata è quella di Brilka, ed è una pagina bianca. Il messaggio è: solo i giovani possono scrivere il loro futuro, il futuro della Georgia. Il libro è del 2014. “Dieci anni dopo, non potevo immaginare (e sperare) che la situazione in Georgia sarebbe stata esattamente quella di come finisce il libro. Manifestazioni e disordini, e questi giovani sono la generazione di Brilka. E molti tenevano cartelli con su scritto: Brilka, scriveremo la tua storia o balleremo”.
Isteria migratoria