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L'editoriale del direttore

Difendere la libertà con l'arma rivoluzionaria dell'umorismo

Claudio Cerasa

L'importanza di ridere. Un gran manifesto contro il politicamente corretto da imparare a memoria. Viva Jerry Seinfeld

Jerry Seinfeld è un comico americano diventato famoso negli anni Novanta con una sit-com di successo in cui interpretava se stesso: un cabarettista single, ed ebreo, che viveva a New York insieme con tre improbabili amici. Fino a qualche mese fa, prima del 7 ottobre, Seinfeld era conosciuto in America solo per la sua arte di comico, dopo il 7 ottobre l’America ha cominciato a conoscere Seinfeld anche per il suo impegno politico e per la sua vicinanza assoluta e profonda al popolo ebraico.

Seinfeld ha visitato Israele a dicembre, ha incontrato le famiglie degli ostaggi tenuti a Gaza e ha sfidato a viso aperto  i manifestanti filopalestinesi quando  hanno approfittato di una qualche sua performance pubblica per provare a zittirlo. Domenica scorsa, alla Duke University, una delle università più famose degli Stati Uniti, nella Carolina del nord, Seinfeld è stato invitato a parlare di fronte ai neolaureati dell’università. Il suo discorso è stato preceduto da nuove manifestazioni di dissenso e i giornali del giorno dopo, come ha notato ieri l’Atlantic, si sono concentrati molto su questo fatto e poco invece su cosa dopo le proteste Seinfeld ha detto agli studenti della Duke. Se avessero fatto il contrario, occupandosi della sostanza della mattinata, avrebbero scoperto che il discorso del comico ebreo, nipote di immigrati ucraini di origine ebraica, è un formidabile manifesto di tolleranza culturale al centro del quale vi è quello che Seinfeld considera l’unica arma che ciascuno di noi ha a disposizione contro la dittatura del politicamente corretto, contro la cancellazione della cultura, contro il settarismo politico: l’umorismo.  Seinfeld, che ha messo l’umorismo dietro altri tre concetti chiave per vivere bene (farsi il culo, prestare attenzione, innamorarsi), non ha fatto un discorso astratto ma ha fatto un discorso preciso indirizzato a una fascia di popolazione particolarmente suscettibile cresciuta e maturata nella società della non tolleranza: la generazione Z.

Ammiro, ha detto Seinfeld, “le ambizioni della vostra generazione di creare una società più giusta e inclusiva e penso che sia meraviglioso che tutti voi vi preoccupiate così tanto di non ferire i sentimenti di milioni di altre persone”. Ma una società in grado di difendere i valori non negoziabili della libertà, non solo intesa come libertà d’espressione, è quella che riesce a tollerare anche l’umorismo più imbarazzante, perché l’umorismo è “la qualità più essenziale per la sopravvivenza di un individuo” di cui ciascuno di voi ha bisogno per “navigare attraverso l’esperienza umana”. Saper sorridere di tutto, anche delle cose sconvenienti, può aiutare a non censurare noi stessi, può aiutare a non restringere il perimetro delle nostre libertà e può aiutarci a comprendere che nella nostra vita “vale la pena sacrificare un disagio occasionale per farsi qualche risata”. Una società che non sa più ridere di se stessa  “è una società che semplicemente non sa più vivere”. E il suo pensiero, su questo punto, Seinfeld lo aveva già esplicitato giorni fa durante un’apparizione alla New Yorker Radio Hour, in cui aveva spiegato come “il wokismo sta spingendo il pubblico verso luoghi in cui la cultura non è censurata da nessuno, come il cabaret e la stand up” e in cui aveva detto che questo fenomeno “è il risultato delle minchiate prodotte dal politicamente corretto che ha spinto troppe persone in questi anni a preoccuparsi troppo di non offendere altre persone”. Se si ha troppa paura di offendere il prossimo, la libertà si comprime.

E quando la libertà si comprime, dice Seinfeld, hai solo un modo per ribaltare il tavolo: usare l’arma più rivoluzionaria che c’è per difendere la nostra libertà, ovvero l’umorismo. Viva l’ironia, viva Seinfeld!

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.