Murale dedicato a Marwan Barghouti sul muro del checkpoint di Qalandia - GettyImages 

Dopo il 7 ottobre

Barghouti ha le mani sporche di sangue israeliano, ma è il beniamino dei media 

Giulio Meotti

Hamas chiede il rilascio di quello che viene considerato il suo ingegnere, responsabile dell’uccisione di decine di ebrei israeliani, leader della seconda Intifada, ma incredibilmente trasformato in un apostolo della pace da alcuni media occidentali

L’israeliano Channel 12 ha rivelato che in cima alla lista dei nomi di Hamas per lo scambio degli ostaggi c’è Abdullah Barghouti, soprannominato “l’ingegnere di Hamas e il più grande esperto di esplosivi dell’organizzazione terroristica, responsabile della pianificazione di attacchi come l’attentato suicida al ristorante Sbarro di Gerusalemme che uccise 16 persone tra cui sette bambini e una donna incinta; l’attentato suicida al Café Moment (undici morti) e l’attentato all’Università ebraica (nove morti, tra cui cinque cittadini statunitensi). In totale, Barghouti è stato responsabile dell’omicidio di 66 israeliani. È stato condannato a 67 ergastoli.

Poi c’è Abbas al Sayed, il comandante dell’ala militare di Hamas nella città di Tulkarem, in Cisgiordania, che pianificò l’attentato suicida del Park Hotel del 2002 a Netanya durante la Pasqua ebraica, che uccise 30 israeliani, per lo più anziani, l’atto terroristico palestinese più mortale durante la seconda Intifada. Ibrahim Hamed, considerato il prigioniero più pericoloso attualmente detenuto da Israele, il comandante dell’ala militare di Hamas in tutta la Cisgiordania dietro a numerosi atti terroristici, condannato per l’omicidio di 46 civili. E Muhammad Arman, uno dei pianificatori dietro l’attentato al Café Moment e l’attentato suicida all’Università ebraica. Gli sono stati dati 36 ergastoli. 


Hamas vuole anche il rilascio di Marwan Barghouti, il leader della seconda Intifada che sta scontando cinque ergastoli, con l’aggravante di altri quarant’anni di carcere, per dieci atti di terrorismo, tra cui l’attacco al Sea Food Market di Tel Aviv, l’uccisione di tre israeliani a Givat Ze’ev e l’attacco di Hadera, in cui morirono sei israeliani. Ma a differenza degli altri terroristi, Marwan Barghouti è un beniamino dei media occidentali. Il Guardian ha ospitato un suo editoriale di sostegno alla terza Intifada (il New York Times non è stato da meno). La stampa occidentale lo adora e lo paragona a Nelson Mandela: “Il Mandela palestinese” (L’Unità), “Il Mandela palestinese” (Il Sole 24 Ore), “Il Mandela di Ramallah” (La Stampa), “A Mideast Mandela” (Newsweek) e “A Nelson Mandela for the Palestinians” (Herald Tribune). “Barghouti e gli altri Mandela” (Il Fatto Quotidiano).


In Francia numerose città gli hanno intitolato strade e piazze, come la città di Valenton. Una piazza in suo nome è stata inaugurata a Coulounieix-Chamiers. Il comune socialista di Coulounieix-Chamiers ha votato a larga maggioranza la proposta di nominare il piazzale del Castello di Izards in onore del terrorista palestinese. All’arciterrorista di Ramallah è stata concessa la cittadinanza onoraria da venti città francesi. Una foto di Barghouti è stata esposta al municipio di Stains. E anche Palermo, per iniziativa di Leoluca Orlando, gli ha concesso la cittadinanza onoraria. 

I legami con Fatah

All’inizio della seconda Intifada, Barghouti è diventato il leader delle Brigate dei martiri di al Aqsa e dei Tanzim. “Se non c’è sicurezza per i residenti di Tulkarem, non c’è nessuna sicurezza per i residenti di Tel Aviv”, disse Barghouti ai suoi. Nell’aprile 2002 l’esercito israeliano ha trovato negli uffici di Fatah una quantità di documenti che provavano il passaggio di danaro e di ordini da Yasser Arafat a Barghouti, e su per tutta la catena del terrore. Denaro, cinture di tritolo, fucili: era tutto  annotato. Barghouti è responsabile, fra gli altri, dell’assassinio di Yoela Cohen, che aveva l’unica colpa di fare benzina a una pompa scelta come obiettivo. Benjamin Pogrund, il giornalista sudafricano che ha tenuto molti incontri segreti con Mandela, rifiuta qualsiasi confronto con Barghouti: “I bianchi non dovevano preoccuparsi di attentati suicidi e sparatorie”, ha scritto Pogrund. Resta il mistero su come un arciterrorista che ha ordinato l’uccisione di decine di ebrei israeliani sia diventato un apostolo della pace. Dopo il 7 ottobre, quando gli stessi media hanno chiamato Hamas “militanti” e non “terroristi”, è molto meno misterioso.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.