elezioni russe

La speranza di Nadezhdin contro Putin è tutta nel cognome

Micol Flammini

Chi è il candidato che vuole sfidare il capo del Cremlino e che è riuscito, cosa rara, a mettere d'accordo tutta l'opposizione russa. Numeri, successi, ambiguità

Boris Nadezhdin la speranza la conserva tutta nel suo cognome, che deriva dalla parola nadezhda: speranza. Per il resto, la sua corsa presidenziale per sfidare Vladimir Putin non è una questione di numeri, è persa senza neppure essere partita, oltre ad alimentare i dubbi che sorgono sempre, come segnale oscuro in una nazione in cui il dissenso è percepito come un pericolo mortale, su come mai un politico che si proclama a favore della pace e va in televisione a dire  apertamente che Putin deve essere sostituito possa ancora parlare liberamente e vivere in Russia. Qualcuno ha già tacciato Nadezhdin di essere il candidato di facciata, quello che spunta fuori a ogni tornata elettorale, ma ormai il capo del Cremlino non ha più bisogno di presentarsi con un’opposizione fittizia, le parvenze di un tempo non servono più e questa è la novità di un voto dal risultato già scritto. Se si parla di Nadezhdin non è per la speranza di vittoria, ma  perché in qualcosa di inaspettato gli è  già riuscito: ha messo d’accordo la diaspora russa che si è organizzata per raccogliere le firme che servono alla sua candidatura. Negli scantinati, nei bar, nelle librerie di città che come Vilnius, in Lituania, accolgono molti russi fuggiti dal regime, va avanti un lavoro intenso per sostenere Nedezhdin. Non tutti lo amano, in pochi lo hanno amato. Nadezhdin ha un passato camaleontico, ha lavorato anche come osservatore elettorale per Vladimir Putin, ma di pentiti in Russia ce ne sono molti. Dopo il pentimento è stato consigliere per Boris Nemtsov, il politico russo ucciso a Mosca da un sicario. Poi è incappato di nuovo nelle ambiguità e si è messo al servizio di Sergei Kiriyenko, l’uomo che oggi si occupa del putinismo nei territori ucraini occupati. Le sfumature dell’opposizione di Nadezhdin sono molte, ma oggi  contano meno e gli oppositori di Putin hanno capito tutti una lezione importante: anni di divisioni, di nuance, di guerre interne hanno fatto bene soltanto al presidente, adesso non è più il momento dei distinguo. L’imprenditore Mikhail Khodorkovski, il collaboratore di Navalny, Ivan Zhdanov, e altri hanno tutti appoggiato il candidato che si è schierato con la pace, contro la militarizzazione della Russia e contro la volontà di Putin di trascinare il paese nel passato. 

La Russia è già nel passato, ma Nadezhdin è riuscito a portarla fuori di casa: per lui i russi si sono messi in fila per consegnare le loro firme necessarie alla sua candidatura. Esporsi, mostrarsi, essere collegati al volto di qualcuno che dice di voler mandare via Putin è un atto di dissidenza, per molti impensabile. Non ci saranno sorprese per queste elezioni, neppure speranze per il candidato che si definisce “fisico, imprenditore, avvocato, politico”. La Russia sembra essere giunta troppo in ritardo a una considerazione: non c’è più tempo, il paese è stravolto. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.