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Il caso

Il trans va forte all'Onu e all'Oms, dove la natura è trattata come malattia

Marina Terragni

La nomina di Munroe Bergdorf ad ambasciatrice alle Nazioni Unite come rappresentante delle cittadine britanniche fa imbestialire le femministe. "Questo maschio non ci rappresenta", dice l'UN Women Uk

Fino a non molto tempo fa, per una donna che ambiva ad accedere al sancta sanctorum del potere maschile, bastava qualche accessorio a garanzia: giacca da uomo, scarpe basse, una cartella al posto della borsetta. Oggi si va più dritti al punto, e a Munroe Bergdorf il punto non manca. Il super-accessorio penzola tra le sue gambe, souvenir del suo essere nato maschio nell’Essex da padre giamaicano e madre inglese l’11 settembre 1987, per adattare in seguito il resto del suo corpo a un femminile ipersex e pornografizzato. Insomma, Munroe Bergdorf è trans: tutto bene, affari suoi. Se non fosse che a rappresentare le cittadine del Regno Unito come ambasciatrice presso le Nazioni Unite tra oltre 33 milioni di britanniche sia stata scelta proprio lei. Anzi lui – altro che misgendering! – tengono il punto le 17 associazioni femministe, da Women’s Declaration International a Women’s Right Network, che su questa storia stanno facendo la rivoluzione e in una lettera dal titolo “Questo maschio non ci rappresenta” esprimono “sgomento e delusione” e invitano UN Women Uk a cambiare rotta. 


“È deludente – scrivono – vedere il comitato arrivare al punto di selezionare un uomo per rappresentare le donne. La sua credibilità è a brandelli (…) Avete ignorato ognuna di noi e avete scelto un maschio. L’attivismo ben pubblicizzato di Munroe Bergdorf non è a favore delle donne. Questa persona si è opposta al fatto che le donne facciano riferimento ai loro corpi femminili. Eppure molte questioni che riguardano le donne, come le mutilazioni genitali, i matrimoni precoci e forzati, i diritti riproduttivi, la violenza maschile, lo stupro come crimine di guerra, l’assistenza sanitaria in gravidanza e maternità e altro ancora, sono indissolubilmente legate alla biologia femminile. Come può questa persona essere una paladina delle donne se questi problemi sono ritenuti innominabili?”. Bergdorf è un bel tipetto, sempre in bilico tra politica e glamour: prima testimonial trans per L’Oreal, è stata giubilata dopo che in un violento attacco di wokeism ha parlato della violenza razzista di “tutti i bianchi” (anche se in un’altra circostanza si era scagliata contro gli “stupidi negri sporchi e puzzolenti”). Consulente del Labour di Jeremy Corbyn per le questioni lgbtq+ ha dovuto mollare dopo avere affermato che le suffragette erano “suprematiste bianche” e che i gay Tory sono “un particolare tipo di teste di cazzo”, oltre a una serie di altri svarioni misogini e omofobici. 

 

“Siamo d’accordo con Munroe Bergdorf”, scrivono ancora le femministe del Regno Unito, “riguardo ‘all’importanza di smantellare gli stereotipi di genere nella pubblicità e nei media’. Ma non vediamo come un maschio, la cui presentazione come ‘donna’ è una versione estrema e sessualizzata della femminilità, possa contribuire a questo obiettivo. Al contrario, la presentazione di genere di Bergdorf incarna l’oggettificazione che la maggior parte delle donne rifiuta in quanto esempio particolarmente umiliante di stereotipi di genere offensivi”. Parlando dell’operazione Bergdorf come “very fetish cake”, la nota femminista Kelly-Jay Keen, aka Posie Parker, ha proposto di non finanziare più UN Women UK. Il trans va forte nelle istituzioni internazionali a compensare una certa stanchezza a livello delle singole nazioni: proprio in questi giorni, per esempio, il New Hampshire si è aggiunto alla lista ormai cospicua di stati che vietano di praticare interventi di “riassegnazione del sesso” su minori di 18 anni. La lobby globale perciò spinge furiosamente con esiti grotteschi com’è il caso Bergdorf, ma forse ancora di più la decisione dell’Organizzazione mondiale della sanità, di elaborare nuove linee guida per la salute transgender affidando il compito a un panel composto per tre quarti da transattivisti. Menzione speciale per Florence Ashley, sedicente “giurista e bioeticista transfemminile”, secondo il/la quale “i bloccanti della pubertà dovrebbero essere trattati come l’opzione predefinita” per tutti i giovani, invece di “lasciare che la pubertà faccia il suo corso alterando i loro corpi con il testosterone e gli estrogeni”. Transumanamente la natura è diventata una malattia e l’Oms si adegua.  

 

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