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Hamas diviso: oltranzisti nei tunnel e trasformisti a intrallazzare

Cecilia Sala

L’obiettivo teorico del blocco nella Striscia e di quello in esilio è lo stesso, ma le strategie pratiche su come non uscire perdenti dalla guerra sono molto diverse

Antony Blinken è stato accolto a Ramallah da una protesta. Tra i cartelli tenuti in mano dai manifestanti ne svettava uno con scritto il suo nome stampato sotto a una fila di triangoli rossi rovesciati, che sono il segno di riconoscimento della propaganda di Hamas. Secondo le fonti di Sky News Arabia, la discussione tra il segretario di stato americano e Abu Mazen sul futuro di Gaza e i passi da compiere per la costruzione di uno stato indipendente si è rivelata complicata: “Con toni tesi e litigi”. Anche il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha scritto nella sua bozza di piano per il dopoguerra (avversata dai ministri dell’estrema destra) che dovrà essere un civile palestinese a governare la Striscia nel futuro, ma gli israeliani non vogliono che sia Abu Mazen. Non si fidano del leader di Fatah e della Cisgiordania, che parla con Blinken mentre tratta spartizioni di potere con Hamas. Il gruppo terrorista è spaccato in due tra l’ala dei leader dentro la Striscia – il capo politico Yahya Sinwar e quello militare Mohammed Deif – e l’ala degli esiliati in Qatar, in Turchia, in Siria e in Libano. La prima ha bisogno della seconda soprattutto per trovare finanziamenti, per tenere i rapporti con gli alleati nella regione e per negoziare la liberazione di detenuti palestinesi con Israele; ma diffida dei colleghi che abitano all’estero perché dipendono troppo dai loro ospiti-protettori e preferiscono il lusso alla vita rischiosa da terroristi combattenti.

Il segretario generale di Hamas, Ismail Haniyeh, vive in Qatar e il suo vice, Saleh al Arouri, viveva in Libano prima di essere ammazzato a Beirut dal razzo sganciato da un drone israeliano. Arouri ha sempre continuato a tessere rapporti con Fatah e Abu Mazen e si è comportato spesso da avversario interno di Sinwar, oggi a capo del gruppo nella Striscia. Il suo blocco è quello che invece, nel 2007, in un colpo di stato per tenersi il potere, ha ucciso quattrocento oppositori palestinesi, in maggioranza esponenti di Fatah. Secondo analisti esperti di Hamas come Michael Horowitz e Matthew Levitt, l’ala di Arouri parlava con l’autorità palestinese di un “day after” che in qualche modo includesse anche la sua fazione di Hamas nella spartizione dei posti, passando sopra alla testa di quelli che stanno rintanati nei tunnel della Striscia. I leader fuori da Gaza vogliono un patto che garantisca un ruolo e guadagni futuri, quelli dentro Gaza portano avanti una resistenza all’ultimo sangue – e non vogliono rinunciare a tutti gli ostaggi, che servono come scudi umani personali – perché sanno che nessun accordo garantirà loro il potere che hanno avuto fin qui o darà loro la garanzia di restare vivi. L’obiettivo teorico dei due blocchi è lo stesso, la distruzione di Israele, ma le strategie pratiche su come non uscire perdenti dalla guerra sono diverse.

Tre giorni fa Blinken era in Arabia Saudita per raccogliere la proposta del principe ereditario Mohammed bin Salman che “sarebbe disposto a prendere in considerazione la possibilità di stabilire normali relazioni diplomatiche con Israele, ma soltanto se lo stato ebraico accettasse di compiere passi concreti verso la creazione di una Palestina  libera e indipendente”. La domanda è se questa Palestina libera e indipendente vedrebbe ancora al potere Hamas, ala dei leader in esilio. Israele non lo accetterebbe mai, ma teme i patti silenziosi per il dopo tra i leader all’estero del gruppo islamista, l’Autorità palestinese e i paesi arabi. E l’attività di lobbying degli ultimi anche in occidente. Alla fine di dicembre il Monde ha rivelato che l’Arabia Saudita stava elaborando una proposta per il dopoguerra – che ha fatto leggere al ministero degli Esteri francese – secondo cui la leadership militare di Hamas a Gaza sarebbe stata deportata in Algeria, mentre quella politica esiliata si sarebbe salvata e avrebbe trovato un posto nel futuro della Palestina. Secondo il documento, l’autorità civile ad interim – al governo in Cisgiordania e a Gaza per quattro anni (sempre che poi si riesca a fare davvero le elezioni, che non si tengono dal 2006) – sarebbe stata composta dalle varie fazioni palestinesi compresa Fatah e anche esponenti  dell’ala politica di Hamas.

Oggi i funzionari del Qatar, che seguono i negoziati e parlano in particolare con il segretario generale di Hamas che vive a casa loro, Haniyeh, hanno di nuovo messo sul piatto l’esilio dei capi di Gaza e la liberazione graduale di tutti gli ostaggi ancora prigionieri  in cambio del ritiro totale dell’esercito dello stato ebraico. Secondo il canale d’informazione israeliano Channel 13, il piano qatariota sarebbe stato discusso dal governo di Benjamin Netanyahu, ma è visto con molta diffidenza perché non garantisce la fine di – tutto – Hamas. 

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