Quattro passi in città

Buon Natale da Londra, la città che si è sbarazzata di Gesù Cristo

La ricorrenza religiosa, che nella capitale inglese sfavilla dappertutto, è stato neutralizzata in una festa commerciale: un Christmas senza Cristo, l'ennesima vittima della cancel culture

La bottega “Rosso”, che affaccia su High Street Kensington, la via principale del quartiere altolocato di Londra, è una delle tante gastronomie italiane fighette disseminate nella metropoli. Già a metà settembre, un’intera parete di scaffali traboccava di panettoni artigianali, tutti orgogliosamente made in Italy. Nella capitale inglese, ormai, il Natale inizia subito dopo Halloween: il primo novembre, con il dolcetto o scherzetto ancora caldo, scompaiono zucche, ragnatele e mostri vari, subito sostituiti dalle prime decorazioni natalizie. Il negozio italiano, però, aveva forse esagerato con la tempistica. Anticipare le feste, da anni, è una mossa commerciale per spingere la gente a comprare. 

Ma il problema di Londra non è un calendario festivo sempre più anticipato, ma è che il Natale è scomparso. A dire il vero, il Natale è dappertutto ma è come se non ci fosse: svuotato, asettico, incolore e inodore, come recita la definizione fisica dell’acqua. Tre mesi dopo quella fuga in avanti di Rosso, Londra è ora un tripudio di addobbi. La monumentale Regent Street, la via dello shopping tra Piccadilly Circus e Oxford Street, lascia i turisti a bocca aperta con le sue grandiose luminarie. Dall’opulenza di Fortnum & Mason, il negozio più antico al mondo, aperto nel 1707, le cui vetrine sono meta di pellegrinaggio, alle strade residenziali di Chelsea, dove dai bovindi di ogni casa vittoriana si intravede un albero di natale: gli inglesi hanno un certo senso dell’eleganza e delle feste.

A prima vista, Londra è la città più natalizia al mondo: l’atmosfera delle feste si respira nell’aria. Sembra di essere dentro a una favola della Disney, ma proprio qui qualcosa non torna: è una festa, ogni anno più grandiosa, senza più il festeggiato, tolto dalla vista perché imbarazzante. Natale viene dal latino: è il dies natalis, il compleanno, di Gesù. La lingua inglese, nella sua essenzialità, è ancora più diretta: la parola Christmas vuol dire, letteralmente, la nascita di Cristo. Ma di questa nascita, se n’è persa traccia. All’ingresso di ogni stazione della Tube, la metropolitana, c’è qualcuno vestito da Babbo Natale con un cestello per le offerte: c’è di tutto, dall’Esercito della Salvezza alle decine di charities per i senza tetto, è una questua continua. Di Gesù Bambino, però, che di povertà ne sapeva qualcosa, nemmeno l’ombra

La scomparsa di Cristo fa da contraltare  al dilagare degli alberi di Natale. È tutto consequenziale: l'abete fa Natale ma non impegna, è clima di festa ma senza orpelli religiosi che infastidiscono, è marketing neutro che non offende “gli altri”. Ma, di nuovo, qualcosa stona: è come se a Napoli, di loro spontanea volontà, smettessero di fare presepi a Natale. E a proposito di presepi, a Londra sono scomparsi, resistono solo nelle chiese cattoliche e in qualcuna anglicana “eretica”. Una volta, i personaggi della Nativity si trovavano persino dentro Harrods: le vendeva Lladró, marca spagnola di porcellane di lusso, diventata celebre proprio per i suoi Gesù Bambino in preziosa ceramica. Ora le “statuine” di Lladró sono solo di personaggi commerciali o neutri. Il presepe, per secoli simbolo di pace, mitezza e serenità, è diventato pure lui divisivo, qualcosa di fastidioso o addirittura pericoloso. 

Il Natale, che a Londra pure sfavilla dappertutto, è stato neutralizzato in una festa commerciale. I riferimenti religiosi sono così scomparsi che pure le altre fedi, a partire dai musulmani, ormai hanno “adottato” la festa.  

Davanti a Selfridges ci sono ogni giorno dei taxi a pedali, tipo risciò asiatici, ma con luci da discoteca e musica a volume assordante: aspettano clienti fuori dal grande magazzino. Sono tutti guidati da mediorientali, e tutti musulmani. Durante l’anno, queste bici a tre ruote sparano solo fastidiosa musica arabeggiante. A dicembre, si trasformano in mini luna park di scritte “Happy Christmas” e la loro musica diventa improvvisamente natalizia, altrettanto fastidiosa: è un continuo “Last Christmas” di George Michael (morto peraltro il giorno di Natale). 

Accanto alle debordanti decorazioni, a Londra è anche tutto una colonna sonora. C’è Freddie Mercury che canta “Thank God It’s Christmas” anche dentro al ristorante Mali Vegan, un tailandese vicino alla stazione di Earl’s Court: eppure è un locale gestito da indù. Tutti i negozi, dalla medesima Regent Street alle bancarelle di Camden Town, hanno la stessa identica, stucchevole ma innocua, playlist, guidata dall’immancabile Mariah Carey fino all’onnipresente Michael Bublè. 

Pure la tradizione delle carols, le canzoni di Natale, è stata decristianizzata: le strade di Londra sono piene di cori ma nessuno che canti una “Holy Night”, figurarsi una “O Little Town of Betlehem”.

Gesù Bambino è estinto, rimpiazzato dalla più rassicurante e paffuta immagine di Babbo Natale, l'anziano sovrappeso dell’iconografia inventata dalla Coca-Cola. Sarebbe in realtà Santa Claus, a sua volta storpiatura di Saint Nicholas, San Nicola, ma è un altro santo cristiano e dunque inadatto alla società globalizzata del Meltin Pot, il minestrone di razze, culture e religioni. In questo contesto c’è spazio solo per i carnevali a tema: la sera del 6 dicembre, mentre l’Italia si preparava a festeggiare l’Immacolata, e Milano era in fibrillazione per la Prima della Scala, nel centro di Londra si correva la Christmas Run, ennesima corsa benefica, dove tutti sono vestiti da Babbo Natale. 

Il Natale di Londra sarà pure inclusivo, ma ha perso ogni identità: soprattutto, ha perso le sue radici che, piaccia o no, sono cristiane. Carlo Magno, 1200 anni fa, aveva scelto non a caso il giorno di Natale per farsi incoronare Re, per la simbolica sacralità della data: la sua investitura veniva abbinata alla nascita di Cristo, il Re dei Re. Molti secoli dopo, il giorno di Natale è solo un giorno festivo a Londra, come un Thanksgiving o una Bank Holiday qualsiasi. Ogni elemento spirituale è stato eliminato con una pianificazione scientifica dal Tribunale della Laica Inquisizione: il Comitato permanente del politicamente corretto ha soppresso ogni afflato cristiano o tradizionale. È una battaglia che si gioca anche sulle parole. A disagio con la parola Christmas, che incorpora la divisiva parola Cristo, è stato coniato il neologismo “Xmas”, che si pronuncia alla stessa maniera ma è senza il fastidioso lemma. Il Grande Fratello linguistico, tuttavia, è andato oltre. Gli auguri di Buon Natale, anche nella versione “senza zucchero” Merry Xmas, è stato sostituito dalla ancor più indolore espressione “Season's Greetings”, un generico “Auguri di Stagione”. Se una parola scompare, nemmeno la realtà che rappresenta esisterà più: anche le parole plasmano una società. D'altronde “1984”, il romanzo più profetico della nostra epoca, fu scritto da un inglese, George Orwell.

Dopo l'hamburger senza carne, il Panettone senza uova e gli uffici senza carta, a Londra l'ultimo tassello della società “free from”, senza qualcosa, è il Christless Christmas, il Natale senza più Cristo. Il più grande inganno del Diavolo è far credere che non esiste, ammiccava il luciferino Keyser Soze ne “I Soliti Sospetti”. Quello della cancel culture è essersi camuffato da Natale.

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