accordi fra nemici
“Deamericanizzare” il Golfo. Il patto iraniano non spiace ai sauditi
Putin vola negli Emirati e in Arabia Saudita, mentre oggi vede Raisi. L’idea di una flotta multinazionale nel Mar Rosso concorrente a quella occidentale. Le compagnie private intanto chiedono aiuto: "Serve sicurezza per i nostri cargo"
Il progetto di “deamericanizzazione” del medio oriente, teorizzato dall’ayatollah iraniano Ali Khamenei, ha vissuto ieri un passaggio significativo, con la visita in grande stile di Vladimir Putin prima negli Emirati Arabi Uniti e subito dopo in Arabia Saudita. Oggi sarà la volta di un bilaterale a Mosca con il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Il presidente russo celebra così la neutralità garantita dalle monarchie sunnite sulla guerra in Ucraina. Una tacita condiscendenza che ora sembra sfociare in qualcosa di più, in un’intesa fra Mosca e Teheran per creare un’alleanza militare nel Golfo in funzione anti americana. Un’alleanza che non coinvolge direttamente Mosca, ma che dovrebbe tenere insieme Teheran e molti dei suoi storici nemici, dagli Emirati Arabi Uniti all’Arabia Saudita. Pur di evitare una nuova guerra regionale, Riad e Abu Dhabi valutano i vantaggi di una cooperazione militare con l’Iran.
Lo ha confermato la settimana scorsa il ministro della Difesa saudita, Khalid bin Salman, che dopo una telefonata con il capo di stato maggiore iraniano, il generale Mohammed Hossein Bagheri, ha ammesso che “una serie di questioni di interesse condiviso è in discussione” fra i due paesi. Il piano coinvolge anche Qatar, Bahrein, Iraq, Pakistan e India ed era noto sin da giugno, ma dopo gli attacchi di Hamas in Israele del 7 ottobre c’è stata un’accelerazione. I missili e i droni di Ansar Allah nello Yemen, costruiti e venduti dall’Iran, creano il caos in uno dei tratti di mare più strategici al mondo. In nome della solidarietà ai “fratelli palestinesi”, gli houthi prendono di mira le navi cargo israeliane e occidentali in transito attraverso il collo di bottiglia che è lo stretto di Bab el Mandeb, largo appena 40 chilometri e che mette in comunicazione il Mar Rosso con l’Oceano indiano. Si è creato insomma quel clima di insicurezza che Teheran vuole sfruttare per dimostrare che gli Stati Uniti non sono in grado di garantire la libera navigazione nell’area e che è arrivato il tempo di collaborare per garantire la sicurezza marittima. L’obiettivo è creare una flotta multinazionale concorrente a quella già dislocata dalle marine occidentali e a guida americana – la Combined Maritime Force.
Non a caso, Iran, Cina e Russia hanno pianificato una nuova esercitazione navale congiunta nel Golfo Persico, a poche miglia marine da dove naviga in questi giorni la portaerei americana USS Eisenhower, inviata come mezzo di deterrenza. Giorno dopo giorno, l’insicurezza aumenta. Domenica, per la prima volta, un singolo attacco ha coinvolto più navi commerciali, costringendo il cacciatorpediniere americano USS Carney a rispondere al fuoco. “Valutiamo risposte appropriate”, ha detto il Comando centrale americano tentando di scrollarsi di dosso la cautela che finora aveva assunto per paura di favorire il contagio della guerra fra Hamas e Israele. Un timore peraltro condiviso dall’Arabia Saudita che ieri, come riferito da Reuters, avrebbe chiesto agli americani di non esagerare nella presa di posizione contro gli houthi. A riprova che a una guerra regionale si preferiscono il dialogo e la collaborazione con l’Iran e i suoi alleati.
Ma il contraccolpo strategico ed economico degli attacchi filoiraniani alle navi commerciali nel Mar Rosso costringe comunque Stati Uniti ed Europa a prendere contromisure. La Combined Maritime Force non basta più, evidentemente, se il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha detto lunedì che qualcosa di più incisivo va fatto: “Siamo in trattative con altri paesi per creare una task force e coinvolgere la navi di altre nazioni che sono nostri partner per garantire la sicurezza della navigazione”. Il vicecapo di stato maggiore della Marina militare americana, ammiraglio Christopher W. Grady, ha detto che “la questione non riguarda solamente gli Stati Uniti ma è un problema internazionale” e “non escludiamo l’impiego di scorte navali alle porta container”. Dall’altra parte dell’oceano, l’Europa dice di essere pronta a raccogliere eventuali proposte e a potenziare le missioni già attive. Fra queste c’è Atalanta. “Abbiamo già dislocato nella zona due navi, il cacciatorpediniere italiano Durand de la Penne e la fregata spagnola Victoria e siamo pronti a potenziare gli attuali assetti. Tutto in coordinamento con i nostri alleati americani”, dicono al Foglio fonti della missione europea.
Intanto, le minacce iraniane si traducono in perdite enormi per il commercio internazionale. “Siamo molto preoccupati”, dice al Foglio John Stawpert dell’International Chamber of Shipping, una delle più grandi associazioni mondiali di trasporto commerciale via mare. “I sistemi di autodifesa delle navi commerciali contro assalitori armati non possono spingersi oltre il livello attuale. Speriamo che qualsiasi intervento militare protegga le navi e gli equipaggi per preservarne la liberà di navigazione”. Alcune compagnie hanno già cambiato le rotte delle navi cargo. Dopo il sequestro della porta containier Galaxy Leader a opera degli houthi lo scorso 28 novembre, l’israeliana Zim ha deciso che è preferibile circumnavigare l’Africa piuttosto che vedersela con gli houthi nel Mar Rosso. La danese Maersk ha deciso invece di fare scaricare le sue navi negli Emirati. Il tutto con costi e tempi dilatati. “Senza dubbio è una situazione molto fluida e mai vista prima, in cui gruppi paramilitari prendono di mira trasporti commerciali, rendendo il tutto ancora più imprevedibile”, spiega al Foglio Neil Roberts, capo del settore Marina e Aviazione della Lloyd’s Market Association, che rappresenta alcune fra le principali compagnie assicurative mondiali. “Gli attacchi aumentano i rischi per le merci e le quote delle coperture assicurative sono interessate inevitabilmente da un aumento cospicuo”.
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