La fredda bestia nera

Hitchens e Fallaci, impetuosi, odiarono in Kissinger il simbolo del male e del cinismo

Pierluigi Battista

Lei gli diede del pagliaccio, lui cercò per anni di farlo processare per crimini di guerra e contro l'umanità. Il diplomatico non reagì

Christopher Hitchens era impetuoso, irruento, incline all’iperbole e non poteva non detestare la glaciale cerebralità di Henry Kissinger. Si batteva come un leone perché Kissinger venisse stritolato da un’azione penale internazionale “per crimini di guerra, per crimini contro l’umanità e per reati contro il diritto comune, il diritto consuetudinario o il diritto internazionale. Per crimini come la cospirazione finalizzata a rapimenti, torture e omicidi”. Il diavolo, probabilmente. Per Hitchens Kissinger era un essere “indescrivibilmente ripugnante”. Negli ultimi anni della sua vita stroncata nel 2011 gli chiesero in un “Questionario di Proust” quali fossero le figure contemporanee che detestava di più. Hitch rispose: “Henry Kissinger, Osama bin Laden, Joseph Ratzinger” (povero Ratzinger, ma la risposta non sorprende visto che il questionato aveva scritto un libro intitolato “Processo a Dio” e provava uno spiccato disgusto per Madre Teresa di Calcutta e la sua “posizione della missionaria”).

 

Anche Oriana Fallaci era impetuosa, irruente, incline all’iperbole e infatti detestava financo esteticamente l’uomo Kissinger con cui aveva duellato in un’intervista che sembrava un incontro di kickboxing e che si era permesso di smentire il contenuto rammaricandosi di aver ricevuto la Fallaci: “La cosa più stupida della mia vita”. La cosa che l’aveva respinta con più orrore era la voce del nemico intervistato, quel gorgoglio metallico e gutturale che la inquietava al pari della sua “espressione senza espressione”, una voce “monotona, triste, sempre uguale”, “il rumore ossessionante, martellante della pioggia che cade sul tetto”: “L’ago del registratore si sposta quando una parola è pronunciata in tono più alto o più basso”, racconta Oriana Fallaci, ma “con lui restò sempre fermo”.

 

Agli impetuosi, irruenti, inclini all’iperbole come Hitchens e Fallaci il cinismo di Kissinger doveva essere il marchio di tutto ciò che trovavano esecrabile. Hitchens si muoveva un po’ velleitario come Don Chisciotte, e a un certo punto la sua battaglia per mettere alla sbarra il criminale sembrò diventare fruttuosa. Ma nel giorno sbagliato, come viene raccontato in “Hitch 22” l’11 settembre del 2011, quando sarebbe partita la denuncia della famiglia di un generale cileno assassinato e “l’11 settembre sarà ricordato come una pietra miliare nella lotta per i diritti umani”. Ma la mattina dopo la moglie di Hitchens (avanti di tre ore di fuso orario) lo sveglierà avvertendolo che l’eventuale “notizia del processo a Henry Kissinger per crimini di guerra sarà un po’ posposta”. Il crollo delle Torri Gemelle trascinò via con sé anche la battaglia pluridecennale dell’ardimentoso Hitchens.

 

Martin Amis non se ne stupì, e qualcuno partorì la leggenda di un dissidio tra i due amici per colpa di Kissinger. E invece l’unica volta che Hitchens se la prese con Amis fu quando in “Koba il terribile” prese in giro con “affettuosa indulgenza” l’amico e sodale del New Statesman scrivendo un libro definitivamente demolitorio sul comunismo, in questo contrario alla “fede politica” dell’amico che prevedeva piuttosto “un ritorno alla fonte dell’energia rivoluzionaria attraverso la figura di Trockij, la grande icona dell’occasione perduta”. Hitchens provava disgusto persino per i discorsi che citavano favorevolmente Kissinger. “Durante un discorso a una cerimonia di commemorazione, ero uscito in strada anche se diluviava pur di non essere contato tra il ‘suo” pubblico”.

 

Una guerra totale. Simile a quella che contro Kissinger fu scatenata da Oriana Fallaci (che lo liquidò così: un piccolo uomo “dinanzi al quale James Bond diventava un’invenzione priva di pepe”, perché lui le guerre non le faceva, ma vilmente le commissionava e le faceva fare) quando il braccio destro di Nixon ebbe l’ardire di contestare l’autenticità dell’intervista: “Dichiarò che avevo storpiato le sue risposte, distorto il suo pensiero, ricamato sulle sue parole, e lo fece in modo così goffo che mi arrabbiai più di Nixon e passai al contrattacco”. E che contrattacco. Lui, il cinico, il realista, il disincantato, l’eminenza dietro le quinte, il grande burattinaio in ombra, venne catturato dal demone del narcisismo egotista e del protagonismo da spettacolo e si lasciò sfuggire: “Ho sempre agito da solo. Agli americani ciò piace immensamente. Agli americani piace il cowboy che guida la carovana andando avanti da solo sul suo cavallo, il cowboy che entra tutto solo nella città, nel villaggio, col suo cavallo e basta”.

 

A Nixon tutta questa storia del cowboy solitario e che guida la carovana non garbò affatto, perché, egotista senza un Ego strutturato e solido, voleva che si dicesse che era lui a guidare la carovana. Il realista Kissinger tentò la goffa smentita, ma se sapeva domare Mao ZeDong e armare la mano dell’orrido Videla, non poteva permettersi di domare Oriana Fallaci: “Gli inviai un telegramma a Parigi, dove si trovava in quei giorni, e in sostanza gli chiesi se fosse un uomo d’onore o un pagliaccio”. Un pagliaccio. Peggio di un pagliaccio lo trattò Hitchens, che scrisse di aver “inseguito Kissinger per anni accusandolo di essere un bugiardo, un assassino, un criminale di guerra, un finto accademico, un noioso”. Ecco, va bene “criminale di guerra”. Ma “noioso” era davvero da fallo di reazione. Ma Kissinger non reagì.