Come un virus

Il Canada pensava di essere il paradiso. Il risveglio antisemita

Giulio Meotti

Il paese di Cohen, Bellow e Richler è sconvolto da alcuni episodi che hanno colpito diverse città. Come siamo arrivati qui? In primo luogo le politiche di multiculturalismo approvate da Pierre Trudeau negli anni ’70

Saul Bellow è nato in Canada, come il romanziere Mordecai Richler e il musicista Leonard Cohen. Un paradiso di libertà e pluralismo, mai un attacco, non certo scenari francesi. Fino  al 7 ottobre di Hamas, quando la comunità ebraica canadese – la terza più grande al di fuori di Israele dopo Stati Uniti e Francia – ha registrato un numero scioccante di episodi di antisemitismo. Vandalizzata una libreria della catena Indigo a Toronto, dove hanno appeso manifesti con una foto dell’amministratore delegato Heather Reisman con la didascalia “Finanziare il genocidio”. A Montreal, la città di Barney Panofsky, hanno sparato contro una sinagoga e due scuole ebraiche e una sinagoga è stata colpita con bombe incendiarie. A Toronto, la comunità ha denunciato l’abbattimento di mezuzah, stelle di David intrise di sangue sulle case ebraiche e su una scuola, attacchi fuori dai centri comunitari. A Mississauga, la settima città del Canada, un medico ebreo ha ricevuto minacce di morte. Nell’Ontario, una lettera minacciosa è stata affissa all’abitazione di una famiglia ebrea. 

Shimon Fogel, amministratore delegato del Centro per Israele e gli affari ebraici di Toronto, al Globe and Mail dice che l’antisemitismo è una conseguenza dell’arrivo negli ultimi anni di decine di migliaia di persone dalla guerra civile siriana e dalla riconquista talebana dell’Afghanistan. “Non penso che sia universale, ma certamente all’interno dei ranghi islamisti ideologicamente guidati della comunità, le prove dell’odio, dal pulpito al livello di base, sono chiaramente presenti”, dice Fogel. A una manifestazione per Gaza a Montreal, un imam ha chiesto di “sterminare i sionisti”. 

Il Canada è diventato una nazione di diaspore” scrive Tasha Kheiriddin sul Vanouver Sun. “Invece di avvolgerci in una bandiera comune, ci stringiamo nelle nostre enclave: musulmani, sikh, indù, ebrei, cinesi, neri e la lista potrebbe continuare. Fede, colore e paese d’origine dividono la nazione. Ognuno è ‘l’altro’ e, sempre più, il nemico. La violenza e gli atti di odio si moltiplicano nelle nostre strade. Il Canada è diventato una fabbrica di lamentele balcanizzata e tutti noi ne stiamo pagando il prezzo. Come siamo arrivati qui?”. 

In primo luogo, le politiche di multiculturalismo approvate da Pierre Trudeau negli anni ’70. “Incoraggiavano i nuovi arrivati a mantenere la propria cultura di origine, piuttosto che costruirne una comune. I politici lo adoravano: per decenni hanno sfruttato facilmente il cosiddetto ‘voto etnico’ per corteggiare comunità che potevano far pendere uno o due vantaggi a loro favore”. Dopo il 2000, un altro fattore ha alimentato le divisioni: “L’ascesa globale delle politiche identitarie. Non era più sufficiente definirsi canadese e nemmeno canadese con il trattino; sei stato incoraggiato a classificarti in base a privilegiato/non privilegiato, bianco/non bianco, genere/genderfluid, colonizzatore-colonizzatore/indigeno e una miriade di altre caratteristiche personali sognate nelle aule del mondo accademico. Il risultato è una nazione balcanizzata lungo mille linee di faglia. Non solo abbiamo perso la nostra identità nazionale, ma stiamo attivamente ripudiando proprio ciò che ha attratto le persone sulle nostre coste: il rispetto per la pace e il buon governo, i diritti umani, la democrazia, le pari opportunità e la libertà personale”. 

E prima delle sinagoghe, furono le chiese. “È stata un’estate difficile per i cristiani canadesi”, scriveva il Wall Street Journal appena due anni fa. “Quattro chiese cattoliche e una chiesa anglicana sono state rase al suolo. Poi sono scoppiati incendi sospetti in tutto il paese. In tutto, almeno 56 chiese sono state incendiate, secondo il True North Centre, che sta mappando gli attacchi alle chiese”. Anche una chiesa copta è stata rasa al suolo, non in Egitto, dove l’incendio di chiese copte non è un evento raro, ma in Canada, definito “il centro dei roghi delle chiese del mondo occidentale”. La chiesa copta ortodossa di San Giorgio nel Surrey, che ha servito cinquecento famiglie e fornito cibo ai senzatetto, è stata incendiata e completamente distrutta. È rimasto in piedi solo un muro carbonizzato. Le chiese sono state attaccate sulla scia della notizia, poi rivelatasi completamente falsa, della presenza di fosse comuni nelle ex scuole residenziali cattoliche per bambini indigeni. E quanti a sostenere che non fossero abbastanza le chiese colpite. Gerald Butts, ex braccio destro del premier canadese Justin Trudeau, ha scritto che bruciare le chiese è “comprensibile”. La direttrice della organizzazione dei diritti civili BC Civil Liberties Association , Harsha Walia, ha twittato: “Bruciatele tutte!”. Una dirigente della Canadian Bar Association, Caitlin Urquhart, ha commentato così su Twitter le notizie delle chiese distrutte: "Bruciate tutto". Un altro avvocato, Naomi Sayers, ha detto di essere pronta a dare una mano a bruciare tutte le chiese. La professoressa della McGill University Debra Thompson si domanda come “è davvero una sorpresa che non le bruciamo tutte”. Ora è la volta degli ebrei. Il paradiso multiculturale perduto.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.