editoriali
Il paradosso del patto di Pedro Sánchez in Spagna
Trovato l'accordo con il Partito nazionalista basco. Ma per restare al governo il premier spagnolo vuole un’amnistia che produrrà effetti rovinosi
Alla fine Pedro Sánchez ce l’ha fatta, con l’accordo firmato con il Partito nazionalista basco il suo nuovo governo può nascere. Ma la conferma alla Moncloa Sánchez se l’era guadagnata con l’accordo, il più problematico, con i secessionisti catalani di Junts. Il punto fondamentale dell’intesa, conclusa a Bruxelles dove è latitante il leader catalano Carles Puigdemont, è l’amnistia per gli indipendentisti. L’amnistia, a differenza dell’indulto che estingue la pena ma non il reato, era esclusa dal Psoe fino al giorno dopo le elezioni. Ma è diventata, improvvisamente, una soluzione politica quando i socialisti hanno visto che i 7 voti dei secessionisti catalani era indispensabili per restare al governo. L’accordo non esclude che i catalani tornino a fare un “referendum per l’autodeterminazione” all’origine delle condanne; contesta le sentenze della Corte costituzionale spagnola; prevede una specie di supervisione da parte di un arbitro internazionale, mettendo in discussione la democrazia spagnola; discute del trasferimento del 100 per cento delle tasse alla Catalogna (la regione più ricca del paese); afferma che in Spagna esiste una persecuzione giudiziaria per motivi politici (il cosiddetto “lawfare”).
La magistratura ha reagito all’accordo definendolo un attacco allo stato di diritto, all’indipendenza della magistratura e alla separazione dei poteri. I socialisti giustificano il patto dicendo che serve a impedire che arrivi al governo l’estrema destra di Vox, che punta a sovvertire l’ordine costituzionale. Ma paradossalmente, il Psoe lo sostiene mentre firma un’amnistia proprio nei confronti di chi è stato già condannato per aver tentato di sovvertire l’ordine costituzionale. Felipe González, padre nobile del Psoe e della Transizione democratica realizzata con la Costituzione del 1978, è uno dei contestatori più duri del patto: “Si dice che bisogna fare di necessità virtù. La necessità vale 7 voti? Per un’investitura, nemmeno per governare. Lo dico ai cittadini, cominciando dai miei compagni, non ne vale la pena”. Non c’è la necessità, ma soprattutto non c’è la virtù.
L'editoriale dell'elefantino