Il rischio del populismo islamico che diventa terrore in Indonesia

La guerra in medio oriente e l'estremismo islamico nel paese musulmano più popoloso del mondo

Giulia Pompili

La Densus 88, l'unità antiterrorismo indonesiana, “vigila con attenzione la situazione”. La questione palestinese è identitaria per la popolazione, ma per le frange islamiste si tratta di altro. Il caso Munarman

Ieri la polizia indonesiana ha annunciato che la sua unità antiterrorismo – una delle più addestrate e famose nel mondo – ha arrestato 59 persone, di cui 40 individui legati al gruppo terroristico Jamaah Ansharut Daulah (Jad), fedeli allo Stato islamico (Isis), e  19 alla rete Jemaah Islamiah (JI), che ha legami con al Qaida. Sono sospettati di aver pianificato azioni terroristiche per disturbare le elezioni presidenziali che si terranno a febbraio in Indonesia. Il portavoce della famigerata Densus 88, la task force antiterrorismo indonesiana, Aswin Siregar, ha spiegato ieri che “per loro, le elezioni fanno parte della democrazia, e la democrazia è immorale, qualcosa che vìola la legge islamica”. Per il paese musulmano più popoloso del mondo, l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso riapre le ferite di diversi attentati terroristici che ha subìto l’Indonesia, e che negli anni dopo l’11 settembre americano – e dopo gli attentati di Bali del 2002 rivendicati da Jemaah Islamiah, che uccisero 202 persone – costrinsero il paese a costruire un capillare sistema di sicurezza e antiterrorismo. Ma la guerra e la chiamata al Jihad di Hamas,  alla vigilia delle elezioni,  ha aumentato di molto il livello di allerta. La Densus 88 “vigila con attenzione la situazione”, ha detto il suo portavoce, e qualche giorno fa al Nikkei Benny Mamoto, esperto di terrorismo ed ex membro della Densus indonesiana, ha commentato: “I gruppi militanti guarderanno alla risposta dei paesi che ritengono vicini a Israele. Quando c’è una dichiarazione di sostegno, quelli diventano un obiettivo”.

 


Tra i paesi del sud-est asiatico, Indonesia, Malaysia e Brunei sono gli unici a non riconoscere lo stato di Israele. In tempi recenti, con la normalizzazione delle relazioni internazionali con i paesi arabi, qualcosa stava cambiando, ma la questione palestinese per i paesi del sud-est asiatico è legata a un passato storico e coloniale trasversale: riguarda il territorio, la divisione in blocchi tra oppresso e oppressore. Ma c’è di più.  Il presidente indonesiano Joko Widodo, qualche giorno dopo l’attacco di Hamas, ha detto che “la causa principale del conflitto è l’occupazione della terra palestinese da parte di Israele”, senza menzionare le azioni di Hamas. Sin dal suo insediamento nel 2014 il presidente Jokowi è stato celebrato come un leader particolarmente laico, in un paese noto per un islam moderato, ma negli ultimi anni il populismo religioso ha ripreso forza e potere nel paese.  

 


Simbolo di un sostegno politico e umanitario legittimo, ma che rischia la manipolazione degli estremisti è l’Ospedale indonesiano, nella città di Beit Lahia, nel nord di Gaza, che sin dall’inizio dell’operazione israeliana nell’area è al collasso per numero di pazienti e sta ricevendo gli aiuti da Giacarta. L’ospedale è stato inaugurato nel 2016 grazie alle donazioni raccolte dalla ong indonesiana Medical Emergency Rescue Committee (Merc-c) indonesiana, e negli anni ha svolto diverse operazioni di assistenza umanitaria all’estero. Ma tra i principali finanziatori dell’ospedale c’è l’Islamic Defenders Front, gruppo terroristico smantellato nel 2020 dalle autorità indonesiane. Ieri il portavoce del gruppo, Munarman, è uscito di prigione: era stato arrestato dalla  Densus 88 e poi condannato a tre anni per terrorismo. Ha giurato fedeltà al califfo Abu Bakr al Baghdadi ed è la mente dietro ad alcuni attentati a chiese cattoliche nel paese e nelle Filippine, ma è noto in Indonesia soprattutto per un episodio del 2012: durante un talk show tirò in faccia del tè bollente a un professore di sociologia che si era detto contrario alla chiusura di tutti i locali notturni durante il Ramadan. Ieri  Munarman è uscito di prigione avvolto dalla bandiera della Palestina. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.