a Varsavia

Le elezioni polacche dimostrano che la Polonia è una democrazia matura

Micol Flammini

Senza panico, i polacchi hanno reagito al momento giusto per preservare le loro istituzioni, si sono appuntati al petto un cuore e hanno scelto un leader maratoneta, Tusk. Il prossimo premier sarà uno sparigliatore, ma gestire Kaczynski all’opposizione non sarà semplice

Varsavia dalla nostra inviata. Spesso i grandi cambiamenti in Europa iniziano dalla Polonia. Lech Walesa, il leader di Solidarnosc e della rivoluzione che investì tutto il paese più di trent’anni fa, lo ripete ogni volta che può: la prima spallata al Muro di Berlino l’ha data Danzica, quindi lui, quindi i suoi concittadini. Domenica è successo che i polacchi, quelli che trent’anni fa erano già adulti, ma soprattutto i figli e i nipoti, si sono messi pazientemente in fila davanti ai seggi, hanno atteso con le borse termiche e le tazze di té in mano  in un giorno di freddo il loro turno per votare. Ed è successo che quel voto è una conferma di quanto la democrazia polacca sia matura e di quanto loro, i polacchi, cittadini e opinione pubblica, ci tengano a preservarla, come fanno da trent’anni a questa parte. E’ successo che nonostante la televisione di stato sia diventata una litania propagandistica sui pericoli portati dall’Unione europea, dai migranti, dalla Germania, e da Donald Tusk, l’agente segreto di Berlino, in tanti hanno scelto di preservare le loro orecchie e hanno votato contrariamente a quanto TvP, la Rai polacca soprannominata TvPiS, continuasse a suggerire da anni e con un’insistenza incalzante nelle ultime settimane. E’ successo che Donald Tusk ha vinto pur arrivando secondo, posizione che per lui, da maratoneta esperto che corre a ogni latitudine e temperatura, non era mai stata così tanto gradita. Lo spoglio più lento del previsto ha confermato gli exit poll che indicavano un vincitore troppo solitario per poter governare e sprovvisto di alleati: il PiS ha vinto ma non ha abbastanza  numeri  né alleati collaborativi a cui appoggiarsi perché Konfederacja, il partito di estrema destra che qualche mese fa sembrava pronto a diventare il terzo più votato del paese, si è fermato al 7 per cento e a una manciata di deputati da portare in Parlamento, insufficienti ad aiutare il PiS a formare il terzo governo consecutivo in otto anni.

 

Un’alleanza con Jaroslaw Kaczynski è difficile da accettare, è bravo a convincere e comprare, ma chiunque abbia accettato si è ritrovato politicamente distrutto. Dopo averne visti tanti masticati e neutralizzati, i partiti di oggi non accettano neppure di trattare con il PiS. Donald Tusk invece ha lavorato sulle alleanze ed esiste già un patto, un blocco unico che è pronto a governare insieme ed è costituito dalla Coalizione civica guidata dall’ex premier ed ex presidente del Consiglio europeo, da Sinistra e da Terza via. Sono tre anime diverse, che hanno litigato, si sono sfidate, ma alla fine hanno capito che ognuno con i propri elettori, ben consapevoli del patto, doveva unirsi all’altro. Ognuno ha organizzato le sue campagne elettorali, si è scelto i suoi simboli, i suoi colori, ha mobilitato, ha chiamato i polacchi al voto e adesso e  tutti insieme hanno la maggioranza che serve a governare. Adesso si tratta di attendere, perché nonostante la Costituzione non sia precisa su questo punto, sarà probabile che il presidente Andrzej Duda dia prima al PiS, il suo partito, il mandato di formare un governo, attenderà  il suo fallimento fino a dicembre e poi chiamerà Donald Tusk, la sua Coalizione civica, i suoi alleati, il suo simbolo: il cuore rosso e bianco. 

 

Adam Bodnar è un avvocato, un attivista per i diritti umani, fa parte del partito di Tusk ed è entrato in Senato. Fino a venerdì sera per le strade di Varsavia distribuiva cuori e volantini, era accompagnato da alcuni attivisti che portavano in processione un cuore enorme circondato di luci, andava di fretta e sorrideva con la promessa che la Polonia dal 15 ottobre sarebbe stata più felice. Dice al Foglio che “l’opposizione è riuscita a vincere le elezioni anche grazie ai cittadini che da otto anni hanno protestato e sono riusciti a preservare i valori democratici”, si sente bene, sta vivendo un momento importante come tutta la Polonia, ha la voce stanca di chi ha dietro le spalle una nottata elettorale incredibile. “Abbiamo invertito la rotta che ci stava portando verso l’autoritarismo e abbiamo dimostrato al mondo e all’Europa che con grande energia, determinazione, costanza si possono battere anche i governi che cercano di erodere diritti e valori democratici. E’ sempre stata questa la forza travolgente della Polonia, la grande differenza con la vicina Ungheria: i polacchi hanno vigilato, protestato e nel momento in cui il rischio di perdere la democrazia si faceva concreto, per il governo sono stati un tormento. Il PiS rimane ancora molto votato e adesso all’opposizione spetterà il compito di dimostrare che il cambiamento è un valore per tutti. Dovrà farlo in modo meticoloso, sapendo bene che i tre partiti che potrebbero formare la maggioranza hanno differenze profonde: “Bisogna mettersi d’accordo su una serie di punti, la Polonia non ha la tradizione di un patto  di coalizione, ma stilare un programma che risponda alle priorità di ogni anima della maggioranza e degli elettori sarebbe un buon punto di partenza”, dice Bodnar.  

 

Tra i membri della Coalizione civica si iniziano a stilare le liste delle cose da fare, la leader di Iniziativa polacca, Barbara Nowacka, fa l’elenco di tutte le riforme necessarie: la televisione pubblica, i diritti delle donne, la giustizia. Ma la nuova Polonia va costruita insieme agli altri, a Terza via e a Sinistra, la prima è stata la grande sorpresa di queste elezioni, la seconda ha avuto un risultato inferiore  alle aspettative. C’è chi inizia a parlare di chi sarà il prossimo premier. I più cauti dicono di non sapere, i più emozionati fanno senza esitazione il nome di Tusk e dicono: “Tutto questo l’ha fatto lui”, indicando un qualcosa davanti a loro come se stessero contemplando il disegno di una nuova Polonia. Chi è in vena di pettegolezzi racconta che Tusk sarà il premier sparigliatore, quello che troverà il compromesso con gli alleati, che affronterà tutti problemi a muso duro contro un’opposizione che non sarà semplice da gestire, in quanto numerosa, e poi, quando le cose saranno più tranquille lascerà il posto a qualcuno più giovane. In pochi temono colpi di mano da parte di Kaczynski, rispondono che la forza della Polonia è democratica, e i polacchi hanno dimostrato cosa sono disposti a fare,  cosa pensano del leader del PiS, al quale l’ex ministro degli Esteri Radoslaw Sikorski, frequente bersaglio della propaganda della televisione pubblica, augura una serena pensione politica.

 

Domenica Tusk, come sempre, era andato a correre, aveva percorso quasi nove chilometri lungo un tragitto fra i boschi che casualmente aveva proprio la forma di un cuore. Poi era tornato a casa e aveva messo di fronte al suo gatto Rudy due ciotole, una con la scritta Ko (Coalizione civica), l’altra con la scritta PiS. Rudy aveva scelto la prima. Alla serata elettorale era arrivato con una consapevolezza: il cambiamento era già iniziato, i segnali c’erano tutti. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.